È chiaro, la pandemia ci ha preso alla sprovvista.

Tutti impreparati, in balia di pulsioni e paure che non avevamo mai provato prima. E le reazioni, anche quelle si sono rivelate nuove e improvvisate. Probabilmente è per questo che ci ritroviamo a commentare gesti e parole fuori dal comune.

C’è chi si erge a difensore assoluto del buon gusto, chi applaude al punto di scorticarsi le mani per ogni gesto o iniziativa del Robin Hood di turno, chi invece passivamente guarda da dietro il vetro – dello schermo del cellulare o della propria finestra – tutto quello che sta succedendo fuori.

Poi ci sono io, che muoio dalla voglia di scrivere e mettere in fila una per una tutte le cose ridicole e patetiche che sto leggendo e vedendo in questi giorni: influencer di periferia, giornalisti del cortile difronte, intellettuali da divano, fanatici laici e religiosi, circoletti degli amici degli amici e fotoreporter da finestra socchiusa.

Non lo farò, perchè non credo di essere nelle condizioni di giudicare e criticare le reazioni di ognuno di noi. La verità è che questa emergenza CoronaVirus ha alimentato la creatività di tanti, nel bene e nel male. Su una cosa, però, voglio soffermarmi: abbiamo veramente bisogno di tutto questo folklore da parte di chi ci amministra?

Spirito critico, serietà, visione del futuro, se ci siete battete un colpo. La fase emergenziale, ormai, è quasi superata. Mi piacerebbe sentir dire a qualcuno dei nostri Sindaci qualche parola sul futuro a breve termine, sulla ripresa economica.

Mi piacerebbe che qualcuno di loro mettesse sul tavolo un qualche straccio di idea per affrontare quella che sarà una crisi socioeconomica devastante. Se a voi basta vedere un sindaco che si fa riprendere in foto con la Protezione Civile senza rispettare le distanze, o un primo cittadino che sfila nella via Crucis in barba alle ordinanze da lui stesso scritte, o ancora meglio una benedizione versione Papamobile in giro per il paese per esaltarvi, beh, per me non è così. L’impressione è, per dirla con Battisti e Mogol, che qui in Penisola l’unica strategia per affrontare l’emergenza sia “guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire”.

Questo è il momento da parte delle nostre amministrazioni di far passare messaggi di verità, non folklore: la transizione sarà lunga, serviranno idee e proposte all’altezza e non possiamo aspettarci tutto da Stato e Regione, servirà un grande contributo anche dai nostri sindaci e dai nostri amministratori.

Nei prossimi dodici mesi torneremo a uscire, a lavorare, ma non torneremo alla normalità. Una cosa dev’essere ben chiara: il nostro sistema economico, basandosi quasi in toto sul turismo, non si riavvierà schioccando le dita.

Siamo pronti? A me sembra proprio di no. Finora l’unica strategia è stata il distanziamento sociale, la chiusura, le ordinanze populiste, la propaganda social e poco altro. Va bene, attenzione, nulla contro queste misure per affrontare l’emergenza, ma se non si sarà capaci di riorganizzare il dopo rischiamo di vedere vanificati tutti gli sforzi che abbiamo fatto.

Servono idee, proposte, trasparenza sulle modifiche di bilancio, sul rilancio del nostro turismo. Serve avere una visione chiara su come convivere con la minaccia del virus. Serve una guida – meglio se unica e non spezzettata in tre quattro affamati di leadership – che oltre a estremizzare l’operatività sul territorio e l’aiuto imponente che ci fornisce la fede, fornisca uno straccio di proposta su quello che sarà il “Mondo Nuovo”, il day after tomorrow del virus.

Basta navigare a vista. Altrimenti gli applausi, i commenti emozionati e le condivisioni potranno trasformarsi, presto, in fischi, nervosismo e rabbia.