Settembre.  Tempo di far fronte a tutta la miriade di impegni rimandati nella stagione estiva.

Le vacanze son finite, è ora di rimettersi in carreggiata.

Così eccomi in giro carica di pacchi e bustoni,  la ventiquattrore al seguito e i vari  post it con su scritto tutto il da farsi di questo periodo così pieno.

Esco di casa che son già le dieci, ma per l’ora di pranzo riesco a concludere quasi tutte le commissioni in programma.

Resta l’appuntamento dal dentista alle 14.30. Ho giusto un’oretta per rientrare a casa, in modo da darmi una  rinfrescata e buttare qualcosa sotto i denti.

E poi ci sono un bel po’ di cose da scaricare… ho lo scooter invaso da una quantità industriale di buste: incolonnate sulla pedana, appese al manubrio, incastrate nella sella e nel bauletto.

Ebbene sì, tra una cosa e l’altra c’è scappato pure lo shopping e forse ho un pochino esagerato con l’ingombro degli acquisti.

Arrivo miracolosamente  sana e salva davanti casa, reduce da un tragitto tutt’altro che tranquillo, a far l’equilibrista tra i vari pesi con cui mi sono sovraccaricata.

Premo il pulsante del telecomando per l’apertura  del cancello, ma niente, non dà segni di vita.

Panico.

Sono in bilico sul due ruote, piena  di buste, la strada è in pendenza e per giunta ho i freni rallentati. Non è agosto, ma fa ancora caldo e sto grondando sudore.

Premo di nuovo il tastino.

Niente.

Non mi perdo d’animo, proseguo fino alla fine della salita, parcheggio su un tratto più pianeggiante e sto per dirigermi a piedi verso l’entrata, quando mi viene in mente che non posso certo lasciare tutto il mio shopping incustodito sullo scooter. Così prendo tutto e proseguo.

Saranno stati una decina di metri, ma vi assicuro tra i più disastrosi che abbia mai percorso. Stracarica di compere belle pesanti, alcune anche fragili (ma proprio oggi dovevo prendere quel quadro che avevo puntato da più di un mese?), sotto il sole, discesa ripida, asfalto dissestato e, ciliegina sulla torta, ho i tacchi.

Non so se ridere o piangere.

Se vedessi qualcuno in queste condizioni, di certo riderei come una matta.

Ma qui c’è poco da ridere. Anche perché il cancello non si apre nemmeno infilando la chiave.

Provo più volte, borbottando contro tutto e tutti, finché non passa un vicino e mi avvisa dell’interruzione della linea elettrica in zona.

Tiro un sospiro di sollievo, non è un guasto. E´ semplicemente mancata la corrente e il mio cancello ha l’apertura automatica elettrica.

E ora che faccio? Sono già le due meno un quarto, tra quarantacinque minuti devo stare dal dentista.

Solo l’idea di riportarmi indietro tutte queste buste, però,  mi avvilisce.

E poi urge una doccia. E del cibo.

Devo entrare in casa mia, punto.

Così, risalgo la strada e raggiungo un secondo accesso al palazzo, stavolta provvisto anche di apertura manuale, sperando ci sia qualche vicino che mi apra, perché ovviamente non ho le chiavi.

Busso  e ribusso  svariati campanelli, ma non ricevo alcuna risposta.

Dopo qualche ora, realizzerò che nessuno avrebbe potuto rispondermi, perché non c’era corrente e quindi i citofoni erano inattivi.

Insomma, tutto contro di me.

Ma io non mi do per vinta e quando ho in testa una cosa, non mi fermo davanti agli ostacoli.

Scendo la strada per la seconda volta, sempre con tutte le buste al seguito, i piedi indolenziti  e la pelle ormai in modalità sauna.

Faccio il giro del palazzo dal lato di giù e stavolta mi avventuro per un vicoletto strettissimo che dovrebbe portarmi  nel giardino circostante il fabbricato, che se ben ricordo, non dovrebbe essere recintato.

E invece  ricordo male.

Il giardino è circondato da una rete di ferro molto alta.

Sto per svenire.

Ho camminato tanto per niente!

E ho anche gambe e braccia irritate da tutte le erbacce infestanti con cui mi sono scontrata nel tragitto.

L’idea di tornare indietro è inconcepibile.

E infatti non tornerò indietro.

Anche perché per sottolineare il concetto che alle disavventure non c’è mai fine, ecco arrivare un cane.

Ed io ho una gran paura dei cani.

In un nano secondo lancio una parte delle buste dall’altro lato della rete e mi arrampico come una saetta, aiutata anche dal peloso quattro zampe che si è avvicinato abbaiando a più non posso.

Una volta salita, non vi dico l’impresa per calarmi dall’altro lato, con tanto di saltello finale.

M’incammino tra l’erba alta del giardino e nel giro di qualche minuto, incredibile ma vero, entro in casa.

Sono distrutta, graffiata dalle ortiche, super sudata, ho i piedi inesistenti e le scarpe rovinate, le braccia indolenzite e le spalle tese.

Quando varco la soglia dell’ingresso, mi sento come un pirata avventuriero arrivato finalmente al forziere del tesoro.

Mi butto sul divano, sono a pezzi, ma mi rincuora la soddisfazione di essere comunque riuscita, pur tra mille difficoltà, a raggiungere il mio intento.

Biiiip!  Driiin! Pliiing!

Ecco gli scampanellii di ripristino dei vari elettrodomestici.

Tutto si riaccende.

La corrente è tornata.

Proprio adesso.

Per l’ennesima volta non so se ridere o piangere.

E questa sera, dalla postazione del mio comodo cuscino, custode dei miei pensieri,  mi viene un dubbio: è meglio essere caparbi ed ostinarsi per trovare una soluzione o conviene essere pazienti e saper aspettare?

Maelka