Quella che mi appresto a scrivere non è una riflessione come tante altre.

Non è un editoriale, non è nemmeno un manifesto politico, come qualcuno potrebbe pensare.

E’ solo la descrizione di come si è arrivati a questo che io chiamo ancora sogno.

Come si sa, però, i sogni non nascono dal nulla. Hanno un loro background, formato da una sorta di piccole sementi che germogliano nella notte; quando il corpo si riposa, lasciando la mente libera di spaziare.

Allora per raccontare di questo sogno, non posso che partire dal descrivere quelle sementi. Una descrizione forse troppo lunga e, probabilmente, anche noiosa, ma che devo innanzitutto a me. Mi serve per capire da dove sono partito.

La prima sementa: le mie origini

Sono nato a Vico Equense per mere esigenze ospedaliere. I miei primi anni di vita li ho vissuti tra Meta e Piano di Sorrento, ma sono poi cresciuto a Sorrento. Alla fine sono uno di quei tanti cittadini della Grande Sorrento, senza un’identità campanilistica precisa.

Sono o, meglio, credevo di esserlo fino a qualche anno fa. Fino a quando, ad oltre trent’anni non mi trasferii a Piano di Sorrento.

Un giorno, mentre rispolveravo gli archivi mentali dei ricordi, trovai un vecchio souvenir: un melodioso racconto di mia nonna Olimpia. Un racconto in cui il protagonista era il marito, mio nonno, che portava il mio stesso nome. Un racconto che terminava sempre alla stessa maniera:

“Se un giorno piglio la Sisal, farò aggiustare la nostra cappella nella Chiesa della Trinità”.

Provai a chiedere spiegazioni a mio padre, ai miei zii, ai cugini di mio padre. Mi incuriosiva quell’aggettivo possessivo che usava mio nonno nel riferirsi a quella cappella: “nostra”.

Perché nostra?

Nessuno, però, seppe fornirmi risposte esaustive.

Decisi di mettermi così a fare una delle poche cose che ho sempre saputo fare: cercare.

Iniziai la mia personalissima caccia al tesoro.

Ogni settimana mi recavo al Palazzo Municipale e, grazie alla disponibilità degli addetti all’Ufficio anagrafe di allora (Tonino e Carolina), provai a ricostruire il mio albero genealogico. Partendo da mio nonno risalii lentamente sino agli inizi del 1800.

Scoprii che tutti i miei antenati erano nati, cresciuti e morti a Piano di Sorrento. Ai Colli di San Pietro, tra via Cermenna e dintorni.

Poi mi dovetti fermare.

La ragione?

Prima di allora non esistevano i registri di nascita, di matrimonio e di morte. Li introdusse Gioacchino Murat nella sua breve esperienza da Re di Napoli.

La partita finiva lì.

No, la partita sarebbe finita lì se non ci fosse stata cocciutaggine, invece quella non mi è mai mancata e quindi la partita iniziava lì.

Mi venne in mente che a seguito del Concilio di Trento erano stati introdotti nelle chiese gli archivi delle celebrazioni. Con un po’ di fortuna, sarei  potuto risalire sino alla metà del 1500.

Avrei guadagnato quasi altri trecento anni.

Fu così che una mattina mi presentai nella chiesa parrocchiale della SS. Trinità, nella cui “circoscrizione” è sempre ricaduta la frazione dei Colli di San Pietro. Allora era ancora parroco Don Marco Scolari. Gli raccontai delle mie ricerche e gli chiesi di poter consultare gli archivi delle celebrazioni.

Dopo pochi minuti mi ritrovai a leggere decine e decine di faldoni. Più andavo indietro negli anni, più la grafia diventava arzigogolata e l’inchiostro stinto dai secoli.

Passarono mesi, nel frattempo a Don Marco era subentrato il paziente Don Marino De Rosa. Mesi in cui ogni sabato mattina mi recavo in Chiesa a mangiare polvere.  Riuscii finalmente a chiudere il cerchio. Partendo da me, e risalendo da figlio a padre, arrivai sino ad uno dei fondatori di quella chiesa: Nardello de Polo.

Era un mio antenato diretto.

Le sorprese però non finirono lì. Tra i tanti vecchi libri rinvenuti negli armadi trovai anche una vecchia platea. La platea della Cappella Pollio. Quella meglio conosciuta come della Natività. Quella che si trova alla sinistra dell’altare maggiore.

Ebbene quella era la cappella che Nonno Giovanni chiamava “nostra”. Essendo l’unica parte della chiesa a conservare la vecchia pavimentazione in essa è ancora possibile rinvenire la lapide che copriva il sepolcro dei miei antenati, in un tempo in cui non esistevano ancora i cimiteri.

La lapide fu voluta da uno dei miei avi: Luca Hilario Pollio.

Quel nome divenne dopo qualche anno il nome del mio primogenito.

In mesi di ricerche avevo trovato un perché a quel proposito di mio nonno, ma avevo anche scoperto quella mia identità campanilistica che credevo di non avere.

Ero dei Colli di San Pietro: di Cermenna.

Grazie ad altri studi, condotti anche a Napoli, scoprii che la mia famiglia si era stanziata nella parte alta della Piana di Sorrento proprio intorno al 1500, per sfuggire alle razzie dei saraceni che martoriavano la costa, compreso quel Polo (oggi Puolo) da cui proveniva la famiglia del Nardello fondatore della Chiesa della Trinità. Eredi, fattori o semplici abitanti di una zona, un tempo dimora del ricco Pollio Felice.

Per oltre 400 anni, insomma, i Pollio di Cermenna non si erano mai più spostati dai Colli di San Pietro. Spesso si erano sposati anche tra di loro. Addirittura avevano dato il nome ad una località che sino alla metà del 1900 si chiamava per l’appunto Casa Pollio.

Poi mio nonno Giovanni si trasferì a Meta e confuse le mie origine, senza però mai dimenticarle.

Già perché se avesse vinto la Sisal, avrebbe

“…fatto aggiustare la nostra cappella nella Chiesa della Trinità”.

La seconda sementa: il mio legame con Anna 

Questo lungo viaggio alla riscoperta delle mie origini ha finito con il coincidere con l’incontro con colei che sarebbe poi diventata mia moglie, anche se moglie è sicuramente troppo riduttivo. Non rende giustizia al nostro legame.

E’ stato grazie ad Anna che ho capito che non mi sarei potuto limitare ad essere originario dei Colli di San Pietro, ero un carottese. Era quella la mia Città e di quella Città ho iniziato a studiarne la storia.

Una storia unica quella della Piana. Di quella comunità che per secoli ha vissuto al di fuori della mura che racchiudevano i cittadini che contavano. Una comunità operosa e sempre pronta a sfidare i tempi e la legge.

Tutti i più importanti cambiamenti epocali, tutte le proteste, tutte le rivoluzioni erano partiti dalla Piana. Scoprii persino un dettaglio che non avevo mai letto in nessun libro di storia locale. Nell’agosto del 1860, prima che Giuseppe Garibaldi facesse il suo trionfale ingresso in Napoli, portando con sé la falsa promessa di liberare il Sud dal giogo dei Borbone, al Municipio di Piano di Sorrento già si emettevano certificati con la carta intestata di Vittorio Emanuele II.

Insomma una comunità rivoluzionaria e sognatrice, proprio come me.

Quindi non solo ero carottese, ma pure carottese DOC.

La terza sementa: la nascita dei nostri figli

La terza ed ultima sementa è costituita dalla nascita dei miei figli, miei e di Anna ovviamente.

Lì è scattata la molla.

Quella passione che stava man mano crescendo. Quella voglia di lasciare un segno, come avevano fatto i miei antenati, non poteva limitarsi a navigare nel passato. Doveva guardare avanti.

Al futuro.

A quei bambini.

Di qui l’impegno in politica: Anna in prima linea come Consigliere comunale ed io a portare le borracce.

Cinque anni intensi, ricchi di delusioni e soddisfazioni, ma decisivi. Cinque anni in cui abbiamo capito che occorreva fare ancora di più. Non bastava continuare a sognare.

Serviva dare corpo a quei sogni. Investire in un progetto politico nuovo: epocale.

Rivoluzionario e sognatore, nel segno dei nostri antenati.

Il primo tentativo di semina

Nel corso dell’esperienza politica di Anna, accanto a quelle che erano le vicende amministrative della Città, iniziammo a gettare le basi del nostro progetto. Già perché, per una serie di eventi, quel nostro sogno poteva iniziare a concretizzarsi addirittura prima del previsto.

L’incontro con Vincenzo Iaccarino (l’attuale Sindaco) e la nascita di Piano Oggi e Domani offrì una grande occasione. In uno dei tanti incontri, una sera al ristorante, lanciai l’idea. Oltre a me, ad Anna e a Vincenzo, c’era anche Vincenzo Califano, colui che oggi ricopre il ruolo di portavoce dello stesso Iaccarino.

Tra un pezzo di pizza ed un sorso di birra, spostai il tiro su quella che era diventata Piano di Sorrento. Una Città priva di vocazione, forse persino priva di identità. Tutti convenimmo su questa analisi che di per sé pareva quasi scontata.

Occorreva ripartire. Ripartire sotto una nuova stella polare. Anche su questo convenimmo.

Per farlo, suggerii, che si sarebbe potuto puntare sul futuro: sui bambini.

La cena finì e quello spunto rimase tale. Poi gli eventi politici portarono ad un epilogo diverso.

L’esperienza di Piano Oggi e Domani naufragò nella tempesta della politica pre-elettorale.

Non germogliò un bel niente, né ci fu il tempo di far germogliare altro.

Alla fine Anna non si ricandidò ed insieme tornammo a casa.

Con i nostri figli, il nostro passato ed il nostro sogno che tornò ad essere solo un sogno.

Si ritorna ad arare: parte il progetto Talepiano

L’ultimo anello di questa lunga catena è legato alla nascita di questo blog.

L’esperienza di Piano Oggi e Domani e quegli affrettati tentativi successivi – tutti fortunatamente naufragati – ci avevano fatto capire che senza una buona aratura nessuna semina avrebbe sortito l’effetto desiderato.

Eravamo andati troppo avanti. Serviva un deciso passo indietro.

Intanto altri amici si erano avvicinati ed avevano iniziato a sognare con noi. Io ed Anna non eravamo più soli.

Per continuare a crescere, però, ci serviva una vetrina. Per arare meglio ci serviva una trattore.

Quel trattore prese così il nome del Talepiano.

Il blog.

Il blog rivoluzionario e sognatore…nel segno dei nostri antenati.

Adesso finalmente ci siamo.

La semina può finalmente avere inizio.

Quel sogno di una Piano…Forte può provare a diventare realtà.

(FINE PRIMA PARTE)

Johnny Pollio