Ormai è un braccio di ferro continuo tra la Banca Popolare di Bari ed i suoi azionisti. Un braccio di ferro che ha recentemente ha fatto segnare un importante punto a favore dei secondi.

A riportare la notizia è stata la redazione barese del quotidiano La Repubblica. Una notizia che qui, sino ad ora, sembra essere passata quasi inosservata. Eppure la Popolare di Bari ha in Penisola sorrentina ben due sportelli operativi. Uno a Piano di Sorrento e l’altro a Sorrento. Una presenza nel territorio peninsulare che è il frutto dell’acquisizione dell’ex Banca Popolare della Penisola Sorrentina. Acquisizione avvenuta nel lontano 2003.

Il tutto, secondo la ricostruzione giornalistica effettuata da Repubblica, sarebbe partito da un ordine di vendita violato.

Così qualche azionista più fortunato sarebbe riuscito a sbarazzarsi dei suoi titoli prima del previsto, scavalcando altri soci che invece attendono da anni di rivendere le azioni per recuperare almeno parte dei soldi spesi.

A sollevare il caso l’associazione dei consumatori, che rappresenta Raffaele, un azionista barese che il 14 dicembre del 2015 presentò alla banca un ordine di vendita dei suoi 400 titoli, per rientrare in possesso della somma investita pari a circa 3 mila euro.

L’associazione, però, spulciando il registro avrebbe riscontrato che ci sarebbero stati quattro ordini di vendita presentati dopo questa data: uno il 21 dicembre del 2015 da un azionista che possedeva 22mila620 azioni per un valore 215mila euro. Gli altri tre presentati il 29 dicembre del 2015 (8mila 700 azioni, 116 azioni e l’ultimo con 1113 titoli). Tutti questi quattro azionisti hanno potuto vendere le azioni e rientrare in possesso dei loro soldi. Il signor Raffaele, invece, sta ancora aspettando.

La mancata esecuzione dell’ordine di vendita avrebbe anche danneggiato il signor Raffaele, perché da quel periodo in poi le azioni della Bpb cominciano a diventare illiquide. In pratica, per una buona parte dei 69mila soci della banca è difficile vendere le azioni all’interno del mercatino interno alla stessa banca (la Popolare non è quotata in Borsa).

Nell’aprile del 2016 le cose si complicano, visto che l’assemblea degli azionisti fa calare del 20 per cento il valore dei titoli. Prima di quell’incontro un’azione valeva 9,53 euro: in seguito il valore cala a 7,50 euro. Una decisione che spinge molti azionisti a chiedere la vendita dei titoli. Senza riuscirci. A complicare il quadro arrivano le inchieste della Procura. Fra queste ce n’è anche una in cui gli inquirenti ritengono che gli ordini di vendita dei titoli sarebbero stati inseriti manualmente, senza rispettare l’ordine cronologico. Una delle contestazioni dell’accusa riguarda la vendita, prima del calo da 9,53 a 7,50 euro, delle 430mila azioni della Bpb contenute nel portafoglio della società barese Debar.

Ora il signor Raffaele ricorrerà in tribunale per chiedere il riconoscimento del danno pari al valore delle azioni che avrebbe potuto incassare quando ha conferito l’ordine. Una sorta di autostrada per chi, come l’azionista barese, ha visto penalizzato il proprio ordine rispetto a quello di altri.