Affacciato da lassù per tantissimi anni è stato testimone della storia e delle vicende umane. Dall’alta rupe tufacea, bordata da una balaustra panoramica, controllava ad ovest e a nord l’ingresso e l’uscita delle navi della Marina di Cassano e, a sud e ad est, il lavoro operoso nel fondo agricolo tra le pergole, i noci, le olive e gli agrumi.  

Chissà a quanti vari avrà assistito … quanti brigantini, polene, velieri e moderni battelli a vapore avrà spiato, nei traffici in entrata ed uscita dalla spiaggia carottese.

Qualsiasi cosa accadeva sopra e sotto il Piano di Sorrento lui era lì, apparentemente immobile, dominando dall’alto del punto più panoramico dei confini della città, sfidando, per un tempo lunghissimo, venti, siccità, fulmini e tempeste di ogni genere, tra onde spumeggianti, rotte dal passaggio di tonni e delfini, e voli di balestrucci e rondoni, sterne e gabbiani, sotto un cielo azzurro o plumbeo, di notte stellato e silenzioso, interrotto solo dal lugubre richiamo dell’allocco.

Ma da oggi la rupe tufacea della costa sorrentina avrà un altro, ennesimo, gigante arboreo in meno: il grosso Pinus pinea, stavolta non ce l’ha fatta, il suo tronco non è riuscito a resistere a raffiche di vento che soffiavano con una velocità di 130 chilometri orari.

Mai vista una cosa del genere … o forse sì … in passato … quando i tessuti floematici e xilematici erano più giovani, il legno più robusto, meno violentato dalle avversità del tempo e dalla mano dell’uomo, che su di esso si è accanito con potature assurde nella convinzione di “alleggerirlo” per aiutarlo a stare in piedi (?).

Dopo i tagli il suo aspetto di Pino d’Aleppo, contorto e frondoso sin dalla base, era divenuto identico a tutti i suoi eleganti dirimpettai Pini domestici che svettavano, dalla Villa Fondi e dal Pizzo a Sant’Agnello, con un alto tronco e una chioma ad “ombrello”. Così “omologato” (da potatori che mai si erano nemmeno chiesti a che specie esso appartenesse) è rimasto in piedi fino alla fine, sfidando la “tempesta imperfetta” (perché causata dall’uomo), ma poi … si è schiantato rovinosamente in avanti, con un rombo silenziato solo dal frastuono del vento e dei tuoni.

La stessa identica sorte è toccata ad altri compagni “ad ombrello” più giovani, sparsi per le città, che a differenza del nostro pino di sopra il mare non hanno mai avuto nemmeno la gioia di guardarlo il mare, o di sentirla la Natura, costretti a vivere tra alti palazzi, cemento e asfalto che gli soffocava i piedi fino al colletto, ridotti ad alti scopetti slanciati verso il cielo a sfidare, contro natura, quella stessa Natura che senza la “mano” dell’uomo forse avrebbero saputo ben governare da soli!!!

Senza più quella chioma a “mongolfiera” (scempiata dai tagli umani) con la quale essi danzavano col vento, rendendo impossibile alle raffiche di penetrare all’interno, senza più quella folta chioma con la quale essi nutrivano il complesso e vasto apparato radicale, ora lasciato morire senza nutrimento, tanti pini sono andati giù … come grissini … come shangai in un gioco cinese … uno dopo l’altro … uno addosso all’altro!!!

Ma è anche vero che i tempi cambiano e non ci sono più le tempeste di una volta. Oggi tutto è esasperato, amplificato, esagerato: venti a raffica, trombe d’aria e condizioni metereologiche estreme, legate ai cambiamenti climatici, si scagliano contro i poveri alberi, indeboliti e violentati da drastiche potature che li hanno fatti “filare verso l’alto” e gli hanno tolto la loro naturale resilienza ai venti.

Eppure i pini hanno sempre convissuto nelle città degli “umani” e né si può dire, a differenza del Pino di Sopramare, che quei tanti alberi crollati in città fossero tutti eccessivamente anziani … anzi!!!

E’ tempo di fermarsi a riflettere sui fatti osservati in un giorno di forte vento, perché la cosa più triste che potrebbe accadere da questa storia è che l’uomo, con la sua effimera esistenza, si convinca per assurdo di dover temere queste stupende creature vegetali a cui deve la vita!!!

La paura di essere schiacciati da un albero, la dilagante dendrofobia, non deve e non può portare alla “vendetta” arborea, per il semplice fatto che non esistono “alberi killer” ma solo giardinieri e uomini “killer”, che agiscono sugli alberi contro-natura facendo sì che essi non possano più essere in grado di difendersi dalla stessa natura di cui sono parte integrante.

Forse non l’abbiamo ancora capito ma, per l’uomo, è l’ultimo SOS!!!

Siamo a un passo del punto di non ritorno. Ancora poco e l’equilibrio che da migliaia (forse milioni) di anni regola il clima del pianeta sta per subire una transizione di fase irreversibile e tutti noi, anche nel caso riuscissimo ad abbattere completamente le emissioni antropiche di gas serra, ci ritroveremo in una hothouse earth, su una Terra torrida.

Cresce sempre più il numero degli scienziati che lanciano l’allarme, un allarme che è assoluta emergenza: siamo a un passo dal superare i dieci limiti ecologici invalicabili che ci porterebbero alla sesta grande estinzione di massa.

Ormai non c’è più nemmeno un minuto da perdere. Bisogna cambiare radicalmente paradigma e farlo in fretta, sennò non avremo speranze di sopravvivenza.

Cosa fare subito per evitare tempeste e tornadi sempre più violenti che renderanno pericolosi gli alberi in tutte le nostre città?

Può sembrare un paradosso ma l’unica soluzione immediata, e alla portata di tutti, è quella di piantare alberi … ovunque possibile … senza mai fermarci!!!

Claudio d’Esposito