“Pronto è l’avvocato Gianni Pollio quello del Telepiano?”

Inizia così questo racconto. Con una telefonata ricevuta qualche giorno fa. In realtà, non sarebbe Gianni, ma Johnny e non il Telepiano, ma il Talepiano. Non cambia niente però. Non cambia niente nella sostanza. La signora Maria (nome di fantasia) ha cercato me ed io le ho risposto.

Poche ore dopo ero a casa sua.

Maria è una donna anziana, molto educata. Vecchio stampo. Mi fa accomodare nel salone. Dopo i convenevoli di rito, mi invita ad accompagnarla alla finestra e mi chiede:

“Sa cosa accade in quella scuola?”

Nel pormi la domanda mi indica la sagoma dell’edificio incartato di via Carlo Amalfi, quello che un tempo era la scuola capoluogo di Piano di Sorrento. Provo a spiegarle che diverse volte ce ne siamo occupati e conosco bene quella storia.

Lei scuote il capo, per la serie:

“Nun saje proprio niente”.

Mi viene da sorridere. Maria per un attimo si trasforma in una di quelle vecchine partorite dalla penna di Luciano De Crescenzo. Quelle dei racconti del Professore Bellavista. Torniamo ad accomodarci sulle vissute sedie del salone/camera da pranzo.

Poi Maria attacca:

“In quella scuola ci vivono, ci vanno a drogarsi”.

Non proferisco sillaba alcuna, ma evidentemente il mio sguardo incredulo trasmette alla donna tutto il mio scettiscimo. Tant’è che pochi attimi dopo la sento di gridare:

“Arturooooo”.

Entra un ragazzo o poco più. Mi viene presentato come il nipote di Maria. Ovviamente anche il nome di Arturo è di fantasia.

Nella Città degli innominabili è così che si fa.

C’è un ordine perentorio per lui:

“Arturo, vai a prendere quelle foto, l’avvocato le vuole vedere”.

Nell’attesa Maria insiste per farmi prendere il caffè. Le ripeto più volte che non mi piace ed alla fine negoziamo un limoncello che mi viene spacciato per fatto in casa. Troppo annacquato per esserlo, ma lo sorseggio lo stesso.

Torna Arturo.

Foto 1 – L’ingresso nell’abisso

Apre il suo portatile. Smanetta un po’ e subito ci ritroviamo all’entrata della scuola incartata.

Mi mostra una foto. Indica che alcune delle sbarre della balaustra sono state tolte via di netto. Ci passo sempre di lì, eppure non lo avevo mai notato.

Effettivamente ora non c’è più nemmeno il bisogno di scavalcare, ci si può agevolmente incuneare da lì. Possono farlo anche i bambini. Senza dare troppo nell’occhio, coperti dalle auto in sosta.

Interessante, ma ci auguriamo vivamente ci sia dell’altro.

Le foto successive mostrano il cortile. Nulla che non possa vedersi dalla strada. Inizio a temere che la chiacchierata non sortirà buoni frutti.

Foto 2 – Finalmente si entra

Ad un tratto però io ed il mio Arturo/Virgilio ci ritroviamo teletrasportati nell’atrio, davanti alle scale.

Siamo dentro.

La porta di quello che è stato il box della portineria è aperta. Immagini di degrado ed abbandono. Non potrebbe essere diversamente.

In fondo sono dieci anni ormai che quell’edificio è stato chiuso e lasciato al suo infame destino.

Arturo/Virgilio capisce che mi sto entusiasmando e clicca più velocemente.

Foto 3 – La Strafottenza

Qualche altra immagine gemella dell’atrio e poi ecco che finiamo in una grossa sala.

Sedie ed altra mobilia frettolosamente ammucchiata galleggiano su una mare di documenti sparsi alla rinfusa.

Da sfondo alcuni murales di colore verde.

Scritte forse in slang e poi uno sgradevole:

“Dio Cane”.

L’incuria e l’abbandono si inizia a trasformare in strafottenza. Buona parte di quel materiale potrebbe ancora servire, invece no. Si preferisce lasciarlo lì a galleggiare.

Foto 4 – Fuoco cammina con me

Da questo momento ogni foto che viene proiettata è una sorpresa.

Nella quarta inizia ad esordire il fuoco o meglio ciò che resta del fuoco. Ciò che resta del materiale che viene dato alle fiamme.

Documenti, porte, sedie.

Gli oscuri abitatori della scuola incartata dimostrano di avere una particolare predilezione per questo tipo di attività incendiaria.

Foto 5 – Il passato glorioso

Nuovo clic, nuovo ambiente.

Trofei danzano accanto a scatoloni ed attrezzatura elettronica, accompagnati dalla solita fiumana di carte e documenti. Le coppe sono la testimonianza del passato glorioso di quella scuola. Anche quel passato è stato abbandonato e forse cancellato per sempre.

Da una finestra fa capolino della vegetazione rampicante. Lei è entrata da tempo e sta iniziando ad appropriarsi di quegli ambienti.

Per un attimo mi vengono in mente le immagini Pripyat, la Città fanstasma dell’Ucraina. La Città vittima della furia nucleare di Chernobyl.

Anche lì a distanza di tanti anni la natura, di fronte alla scelleratezza dell’uomo, ha deciso di vendicarsi. Di riprendersi ciò che un tempo le apparteneva.

Foto 6 – Scusaci Madonnina

Continuiamo il nostro viaggio e ci addentriamo in un nuovo ambiente.

Ancora scatoloni, mobili, documenti, registri.

Sullo sfondo un quadretto della Vergine con in braccio il bambino.

Anche Lei è stata lasciata lì, quasi a presidio di quell’ambiente sinistro.

A nessuno è venuta in mente di salvarla dalle macerie. Lei allora resta lì, fiera e speranzosa. Stride, stride non poco. A differenza di ciò che la circonda quell’immagine è rimasta come era.

Chissà un giorno, magari a qualcuno verrà in mente di salvare almeno la Madonnina.

Sono stanco.

Sono entrato da poco nell’Inferno della scuola incartata eppure sono già stanco.

Foto 7 – Il giaciglio

Virgilio/Arturo forse lo capisce e mi scuote con un’altra istantanea. Quella dell’immagine in evidenza.

Stento a crederci. Un materasso con tanto di cuscino è adagiato sul pavimento insozzato. Un giaciglio. Un comodo giaciglio per gli abitanti misteriosi della scuola incartata.

La finestra è ancora aperta.

Irrompe Maria:

“Sono entrati l’ultima volta poche sere fa. Di qui si vedevano le luci. Forse usano delle torce”.

Proviamo a chiedere di chi si tratta.

Maria ed Arturo scuotono le spalle.

Via con il secondo giro di limoncello annacquato.

(Fine prima puntata)

Johnny Pollio ed il Clan di Bertoldo