La pittura romana presenta una ricca varietà di soggetti, resi con gran vitalità espressiva. Gli artisti risentono degli esempi greci, che rielaborano in modo autonomo, con risultati di mirabile naturalezza. Le ardite costruzioni prospettiche e il sapiente uso della tecnica chiaroscurale denotano l’efficacia di un linguaggio pittorico ben studiato e impreziosito da fantasiosi e sofisticati effetti decorativi.

Le prime manifestazioni pittoriche romane s’inseriscono nel genere trionfale, destinato a illustrare le vittoriose gesta dei valorosi condottieri della gens romana. Si tratta di opere di cui ad oggi non si ha traccia, così come non sono pervenute testimonianze di dipinti su tavola.

In compenso, disponiamo dei preziosi resti di pitture parietali giunte a noi grazie alla conservazione delle antiche città di Pompei ed Ercolano, sommerse dalle ceneri del Vesuvio dopo la drammatica eruzione del 79 d.C.

Inoltre, a queste cospicue vestigia si aggiungono alcune decorazioni pittoriche provenienti da Roma e da altre località.

Seguendo una strada già tracciata da Vitruvio, alla fine del XIX secolo uno studioso tedesco ha proposto una distinzione convenzionale di questi reperti, classificandoli in quattro raggruppamenti denominati “stili”. Con questo termine si vuole intendere una peculiare tipologia decorativa, senza chiamare in causa implicazioni meramente stilistiche, a dispetto della nomenclatura utilizzata.

I quattro stili della pittura parietale romana, detti anche “pompeiani”, in riferimento all’abbondanza dei ritrovamenti nell’antica città campana, abbracciano una cronologia che va dal II secolo a.C. al I secolo d.C. e adottano scelte operative legate all’epoca di esecuzione, come ai gusti dei committenti e alle abilità dei pittori.

IL I STILE (II secolo a.C.)

Detto “strutturale” o anche “a incrostazione”, il I Stile s’ispira alla tipologia decorativa greca e diffonde nelle abitazioni di età repubblicana la partizione delle pareti in tre fasce, simulando con la pittura diversi materiali di rivestimento. La fascia inferiore è costituita da uno zoccolo a tinta unita; la mediana imita lastre marmoree, mentre il registro superiore è ornato da cornici aggettanti in stucco.

Si tratta di una scelta nata dall’esigenza di dotare anche le abitazioni più modeste di un sontuoso preziosismo decorativo, evitando la più elevata spesa dei rivestimenti.

Affreschi – Casa di Sallustio, Pompei

Noti esempi di rivestimenti in I Stile si trovano nella Casa del Fauno e nella Casa di Sallustio, entrambe situate a Pompei, e nella Casa Sannitica di Ercolano.

IL II STILE (100 a.C. – 30 a.C. ca.)

Il II Stile Pompeiano, detto “dell’architettura in prospettiva”, nasce da un’evoluzione del primo: oltre alla simulazione del rivestimento marmoreo,  si dipingono finte architetture che rendono più dinamico lo spazio, creando continuità tra l’ambiente reale e quello figurato. Colonne, ballatoi, finestre ed edicole animano le pareti, richiamando i pannelli lignei dipinti per gli scenari degli spettacoli teatrali. Varie risultano le tematiche raffigurate: si va dai paesaggi agli episodi mitologici, il tutto puntando a un singolare effetto illusionistico di sfondamento del muro.

Affreschi della Villa di Poppea, Oplontis

Esempi rinomati sono forniti dalle megalografie(*) che decorano il triclinium(**) della Villa dei Misteri a Pompei(*) e dagli affreschi della Villa di Poppea, a Oplontis, zona suburbana di Pompei, dove oggi sorge l’abitato di Torre Annunziata.

IL III STILE (30 a.C. – 50 d.C. circa)

Con il III Stile, detto “della parete reale”, scompare l’illusionismo prospettico e nella parte centrale delle pareti trovano posto riquadri dove paesaggi e figure sono dipinti in forme sintetiche, spesso su un fondo monocromo. Venute meno le esigenze di sfondamento spaziale, la parete riprende la sua consistenza bidimensionale avvalendosi di eleganti fregi ornamentali, come si può ammirare nelle pitture  provenienti dalla Villa di Agrippa Postumo a Boscoreale, oggi conservate nel Metropolitan Museum of Art di New York.

Altro celebre esempio, riportato nell’immagine di copertina di questa lezione, è fornito dalla leggiadra figura di Flora, conosciuta anche con il nome di Primavera , un affresco proveniente da Villa Arianna, presso l’antica città campana di Stabiae, l’attuale Castellammare di Stabia, oggi esposto nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Le pitture del III Stile rispettano gli stilemi di un linguaggio molto raffinato, in linea con i fasti della coeva età augustea.

Affreschi provenienti dalla Villa di Livia.

All’interno di questo gusto ornamentale s’inserisce anche il genere particolare della pittura di giardino, di cui si ha un noto esempio negli affreschi che rivestivano in modo continuo le pareti del semi-sotterraneo triclinium della romana Villa di Livia, in località Prima Porta.

IL IV STILE (50 d.C. ca. – 79 d.C.)

Dopo il violento terremoto del 62 d.C., a Pompei, nel fervore degli interventi ricostruttivi, prende consistenza anche il IV Stile, detto delle architetture fantastiche, caratterizzato nuovamente dalle architetture prospettiche del II Stile, ora interpretate in modo più scenografico e complesso, con effetti a specchio ottenuti attraverso scorci illusionistici ripetuti più volte e con l’impiego di una ricca varietà di colori.

Gli affreschi della Domus Aurea di Nerone, ritenuti opera del pittore Fabullus, rappresentano una significativa e sontuosa  testimonianza di decorazioni in IV Stile.

Mariaelena Castellano

IMPARIAMO I TERMINI

(*) Megalografia: nel linguaggio archeologico, ciclo di affreschi raffigurante personaggi a grandi dimensioni.

(**) Triclìnium: Il termine deriva dal greco τρικλίνιον (da τρι «tre» e κλίνη «letto»).  Nelle abitazioni signorili degli antichi romani, il triclinium è la sala da pranzo, così chiamata in riferimento ai triclinia, ovvero i tre letti disposti ai lati della tavola e sui quali si accomodavano i commensali.

(Per informazioni più dettagliate in merito alle tipologie abitative dei Romani, rimando alla lezione sull’edilizia residenziale).

DENTRO L'OPERA

(*) GLI AFFRESCHI DI VILLA DEI MISTERI   (metà del I secolo a.C.) – Pompei

Agli inizi del Novecento, tra le rovine di Pompei, viene portata alla luce anche la suggestiva Villa dei Misteri, che prende nome dal soggetto trattato nel ciclo di affreschi rinvenuto nel triclinium(*), la sala destinata ai banchetti.

Si tratta di un lungo fregio istoriato, che percorre l’intero ambiente attraverso una magistrale espressione pittorica, opera di più artisti coordinati da un esperto maestro, dotato di una felice verve creativa.

La complessa narrazione  si snoda in maniera continuativa, senza distinzione in scene o episodi, per proporre un’iconografia di derivazione ellenistica, legata ai misteri dionisiaci, di cui probabilmente la padrona di casa risulta seguace.

L’interpretazione più convincente di questa complessa trama figurativa inquadra le immagini come illustrazioni di una o più giovani donne iniziate ai rituali del dio Dioniso.

Alle donne, impegnate nelle cerimonie sacre, si accompagnano presenze mitiche o divine, che sembrano assistere, o prendere parte, a un rito in cui flagellazioni, danze e sacrifici rappresenterebbero le  prove richieste per essere ammesse al culto.

I personaggi, stagliati su uno sfondo a pannelli rossi contornati da elementi neri, sono raffigurati a grandezza naturale e sembrano investire della loro austera presenza l’osservatore. La sapiente regia compositiva è alimentata da studiati  schemi rappresentativi  e da armoniche corrispondenze tra le singole parti.

PER SAPERNE DI PIÙ…

LE TECNICHE PITTORICHE

Le pitture parietali romane sono realizzate attraverso la tecnica dell’affresco, ossia applicando il colore “a fresco”, direttamente sull’intonaco ancora non asciugato. Tale procedura, già conosciuta in tutte le civiltà orientali, come si è visto viene praticata anche  dagli Etruschi. Di seguito, un approfondimento più dettagliato su questa e altre metodologie pittoriche, riprese e perfezionate dai Romani. La tecnica dell’affresco consiste nel preparare un primo strato di intonaco grossolano (il rinzaffo) su cui viene applicato  l’arriccio, composto da sabbia e calce. Sull’arriccio ancora umido si traccia il disegno preliminare (la sinopia) e si passa, quindi, alla stesura di un sottilissimo tonachino, formato da sabbia molto fine e da polvere di marmo, amalgamate con acqua. Infine, si applicano i colori, completamente inglobati nell’intonaco che, asciugando, si combina con l’anidride carbonica dell’aria creando il processo di carbonatazione. Una volta fissati, i colori vengono levigati in modo da rendere  più compatto lo strato pittorico.  

Le tinte più delicate, come il cinabro, più conosciuto come rosso pompeiano, che tende a scurirsi se esposto al sole, vengono sottoposte anche a un processo di  inceramento. Una delle  migliori caratteristiche della pittura ad affresco è la sua lunga durata nel tempo, decisamente  maggiore rispetto alla pittura a secco.  Poiché l’intonaco assorbe immediatamente il colore, la lavorazione deve essere veloce ed eseguita senza errori, in quanto non risulta poi possibile apportare correzioni o ritocchi, se non in un secondo momento, ad intonaco asciutto.

I colori utilizzati dai Romani hanno origine animale, vegetale e minerale. Il summenzionato cinabro si ricava dal solfuro di mercurio, mentre il nero si ottiene dal trito e dalla calcinazione di ossa e avorio. I gialli si producono, invece, dalle varie ocre, ma è bene ricordare che molte tinte rossastre rinvenute nelle città vesuviane sono in realtà dei gialli modificatisi a causa delle alte temperature raggiunte durante l’eruzione del Vesuvio.

Passando dalle pitture parietali a quelle da cavalletto, ossia ai dipinti su tela o su tavola, ci imbattiamo invece nella tecnica a tempera o in quella a encausto. Nel primo caso i pigmenti, cioè i coloranti, vengono sciolti in un legante grasso come il tuorlo d’uovo o l’olio, in modo da farli poi aderire al supporto.

Il metodo ad encausto, invece, consiste nello stemperare i pigmenti nella cera calda per poi lasciarli raffreddare, con un risultato finale che vanta una consistenza molto lucente.

VISITIAMO!

TESTIMONIANZE PITTORICHE ROMANE NEL MUSEO “G.VALLET”

Come rilevato in merito alla scultura romana, anche per quanto concerne la pittura di questa antica e illustre civiltà, il MuseoG.Vallet” di Piano di Sorrento conserva alcuni reperti riferibili al I secolo d.C..

Si tratta di resti di affreschi in IV Stile Pompeiano provenienti da una delle ville romane edificate lungo la costa sorrentina, a conferma della predilezione dei nobili patrizi per il nostro territorio, considerato luogo ameno da destinare alla villeggiatura e all’otium.

Le pitture sono esposte in una delle due grandi sale del I piano, accanto a testimonianze emerse dalla campagna di scavo della necropoli sorrentina di via degli Aranci.