Il secondo protagonista della scultura greca in età classica, dopo Policleto di Argo, di cui ho trattato nella scorsa lezione, è l’ateniese Fidia (490-430 a.C.).

                          Ritratto di Fidia                                         (particolare da un dipinto di Ingres)

Artista di gran levatura tecnica, esperto conoscitore delle caratteristiche e della lavorazione dei più svariati materiali operativi, Fidia attraverso la sua opera proclama l’esaltazione della figura umana e consolida i valori di idealizzazione ed equilibrio propri del linguaggio ellenico.

Nelle iconografie delle divinità riesce a infondere un senso d’imperturbabile maestosità, mentre nei soggetti umani emerge una raffinata serenità d’animo, valore fondamentale per il raggiungimento dell’ideale classico di armonia tra corpo e spirito.

         Atena Lemnia  – Copia romana

Il modellato, curato e ben definito, regala scioltezza alle posture dei personaggi, di cui traspaiono anche sentimenti e introspezioni, se pur congelate nella pacata compostezza dell’aura classica.

Anche Fidia, come Policleto, parte dagli assunti dello stile severo  per poi aprirsi a una resa più naturalistica, sublimata da una visione idealizzante.

Ne deriva un linguaggio armonico e ben proporzionato, dotato di senso di misura, equilibrio formale e solennità.

L’ Apollo Kassel, l’Amazzone ferita (realizzata in competizione con Policleto) e l’Athena Lemnia sono alcune delle opere attribuitegli dalle fonti, di cui oggi possiamo avere conoscenza grazie a copie di buona qualità eseguite in epoca romana.

Non sono pervenuti nemmeno gli originali delle due colossali statue crisoelefantine(*)  dello Zeus di Olimpia(*) e dell’Athena Parthénos.

Quest’ultima viene commissionata par il celebre tempio ateniese del Partenone, di cui avremo modo di parlare nella prossima lezione.

Fidia è all’apice della carriera quando riceve da Pericle l’incarico di sovrintendere ai lavori di edificazione di questo celebre tempio dedicato alla dea protettrice della città.

L’artista è molto apprezzato dai contemporanei sia per la grande preparazione tecnica, sia per la prorompente vitalità delle sue sculture, che sembrano muoversi liberamente nello spazio.

Affiancato da collaboratori, si occupa dell’intera decorazione scultorea del Partenone ideando le scene dei due frontoni, dotate di circa quaranta statue a tutto tondo; le novantadue metope stagliate sul fregio dorico perimetrale e i rilievi del lungo fregio ionico, che corre per centosessanta metri intorno alla cella.

I FRONTONI

Nel frontone orientale Fidia raffigura il mito della “Nascita di Atena“, mentre in quello occidentale narra la “Lotta di Atena e Poseidone per il possesso dell’Attica“.

Le studiate e grandiose composizioni, oggi in stato lacunoso e sparse tra Atene e Londra(**), possono essere ricostruite grazie ai disegni realizzati dal francese Jacques Carrey prima che una violenta esplosione danneggiasse il santuario.

Nei due frontoni fidiaci le scene non sono più vincolate a uno schema frontale e le figure appaiono sciolte, libere di muoversi, con atteggiamenti e pose vivaci, che non risentono delle difficoltà compositive derivanti dai restringimenti laterali dello spazio triangolare.

Espressioni e gesti sono studiati in modo che ogni personaggio risulti parte integrante della scena narrata, sia nella sequenza ieratica e monumentale della “Nascita di Atena“, sia nel ritmo più concitato del frontone occidentale.

I personaggi sono modellati con un maestoso effetto plastico e in posizioni spesso complesse; l’anatomia dei corpi è dotata di uno straordinario senso di naturalezza, che emerge anche sotto le fitte pieghe delle vesti, realizzate in modo virtuosistico, tanto da far parlare di “effetto bagnato“, espressione con cui  si evidenzia la sorprendente aderenza delle stoffe ai corpi.

Ciò si evince in modo particolare nel gruppo delle tre divinità che nel frontone orientale assistono alla nascita di Atena. Le dee sono animate da un’intensa energia, sembrano quasi sul punto di muoversi e la loro poderosa massa corporea è ravvivata dalla luce che scorre insinuandosi nelle pieghettature delle vesti.

LE METOPE

Il ciclo decorativo delle metope del Partenone si distingue in quattro narrazioni (una per ogni lato del tempio) raffiguranti la Gigantomachìa, la Centauromachìa, l’Amazzonomachìa e l’Ilioupèrsis, ovvero soggetti storico-mitologici simboleggianti la lotta tra il bene e il male, in modo da celebrare la supremazia della ragione sulla forza brutale, con una chiara allusione alla vittoria dei Greci sul nemico persiano.

Le scene, concitate e dinamiche, si distinguono per la prorompente vitalità, resa anche dal netto stacco delle figure dal piano di fondo. I giochi chiaroscurali enfatizzano le possenti muscolature dei corpi nudi tesi nello sforzo della lotta, mentre la complessa articolazione delle pose differenzia ogni metopa, evitando il rischio di composizioni ripetitive.

IL FREGIO IONICO

La soluzione del lungo fregio a decorazione continua, che corre intorno alla cella del Partenone secondo il modello ionico,  mostra una notevole maturazione architettonica, tale da adoperare una tipologia dell’ordine ionico all’interno di un edificio dorico.

Il fregio è decorato con la narrazione di un evento contemporaneo, ovvero il festeggiamento delle Panatenee, celebrate ogni anno in onore di Atena e qui rese con un sapiente susseguirsi di scene. Uomini, donne, bambini, anziani, cavalieri: tutta la popolazione cittadina sfila nella solenne processione per portare in dono al simulacro della dea il sacro peplo tessuto dalle più nobili fanciulle ateniesi.

Nonostante la sequenza affollata, Fidia  evita il rischio di una rappresentazione monotona, poiché diversifica gli atteggiamenti dei personaggi e  alterna ritmi compositivi lenti e solenni a scene più impetuose e dinamiche.

Tutta la composizione è regolata dalla sapiente regia dell’artista, capace di infondere armonia ed equilibrio, senza rinunciare a far vivere ciascuna figura di esistenza propria.

Anche le divinità prendono parte ai festeggiamenti. Sono fortemente umanizzate, sia nelle sembianze che negli atteggiamenti, ma si distinguono per le più ampie dimensioni gerarchiche.

Si noti, in particolare, il gruppo con “Poseidone, Apollo e Artemide” modellato con gran perizia tecnica e dotato di un suggestivo effetto di naturalezza, nella spontaneità dei gesti, come nella resa espressiva. Sulla sinistra, Poseidone assume una posa sorprendentemente realistica, con un gioco dinamico delle gambe, percepibile anche sotto la fitta trama delle pieghe della stoffa. Apollo si gira verso di lui in modo confidenziale, dando l’idea di un potenziale movimento, accentuato anche dagli effetti dei contrasti di luci e ombre. A destra, la dea Artemide osserva con attenzione la processione. Nel suo  volto si può cogliere tutta la regale compostezza propria della sua natura divina, mentre il gesto di aggiustarsi la veste le conferisce una dimensione più umana.

Nonostante il rilievo del fregio sia molto basso, con un aggetto massimo di cinque centimetri, Fidia e i suoi collaboratori conferiscono un senso di profondità all’insieme, per poi disporre le immagini in modo articolato e disinvolto dotando tutte le scene di una gran spontaneità.

Mariaelena Castellano

IMPARIAMO I TERMINI

(*) CRISOELEFANTINO:  dal greco “chrysós”, d’oro, e  élephas, “d’avorio”, termine riferito a statue o manufatti ricoperti da questi due materiali preziosi.

PER SAPERNE DI PIÙ…

(*) LA STATUA DELLO ZEUS DI OLIMPIA

Il santuario innalzato in onore di Zeus a Olimpia, nel Peloponneso, custodiva la monumentale statua crisoelefantina raffigurante il dio seduto in trono, opera realizzata da Fidia nel 436 a.C. e considerata dagli antichi come una delle sette meraviglie del mondo.

Secondo la ricostruzione storica, la statua è rimasta nel tempio fino al V secolo, quando essendo il luogo di culto ormai in abbandono, fu portata a Costantinopoli, dove andò distrutta in seguito all’incendio che nel 475 devastò la città.

Perso irreparabilmente l’originale, non restano che le lodi tessute dalle fonti storiche, in primis il passo di Strabone  (Geografia VIII 3, 30):

 […] Era fatta di avorio ed era così imponente che, sebbene il tempio fosse molto grande […] Zeus, seduto, sfiorava il soffitto con la testa, dando l’impressione che, se si fosse alzato in piedi, avrebbe sfondato il tetto […]

Fidia ha rappresentato il padre degli dei con la testa ornata da una corona di alloro, la mano destra reggente una Nike alata, mentre nella sinistra stringeva uno scettro sormontato da un’aquila.

Chi si trovava al cospetto di questa colossale opera provava un grande stupore e non solo per le  sue dimensioni imponenti.

L’immagine esprimeva la solenne maestosità regale della divinità, capace di infondere anche un senso di quiete. Chi guardava il volto austero dello Zeus, ne respirava anche quella suggestiva aura d’imperturbabile serenità, a ulteriore prova dello straordinario talento artistico di Fidia.

(**)  LORD ELGIN E LA DIATRIBA TRA  GRECIA E INGHILTERRA PER IL POSSESSO DEI MARMI DEL PARTENONE

Il patrimonio artistico riferibile alla decorazione scultorea del Partenone è oggi diviso tra Atene e il British Museum di Londra. Per l’esattezza, quest’ultimo custodisce quindici metopecinquantasei bassorilievi di marmo, dodici statue, gran parte del frontone ovest del Partenone e  una delle sei Cariatidi dell’Eretteo.

Le ragioni di questo smembramento risalgono al lontano 1810, quando la Grecia era assoggettata al governo ottomano e l’ambasciatore inglese Lord Thomas Bruce, conte di Elgin, ottenne l’autorizzazione di portare in Inghilterra una parte consistente di reperti tratti dai resti dell’acropoli ateniese.

Sei anni dopo, il Parlamento inglese acquistò i marmi espatriati e li collocò nel British Museum.

Negli anni Ottanta del Novecento, la Grecia rivendicò l’appartenenza di queste opere iniziando una campagna ufficiale, di cui l’attrice e cantante Melina Mercourì,  all’epoca ministro della cultura, fu fervida sostenitrice.

La diatriba prosegue da allora. Da una parte, uno stato depredato di un significativo e valoroso patrimonio artistico, decontestualizzato a dispetto di ogni principio di tutela; dall’altra, un Museo forte di un regolamento che vieta la restituzione di beni legalmente acquistati.

VISITIAMO!

LA STATUA DELLO ZEUS IN TRONO

Risale al giugno 2017 il rimpatrio in Italia della piccola statua dello Zeus in trono, datata al I secolo a.C. e ispirata alla celebre opera fidiaca di Olimpia(*)

La scultura, alta appena settantaquattro centimetri, era stata trafugata nel 1992 al museo Getty di Los Angeles, in seguito a un giro di ricettazione di opere d’arte e beni di lusso.

Attraverso studi  archeologici e approfondimenti investigativi, dopo un quarto di secolo, lo Zeus in trono ha fatto ritorno nel suo contesto territoriale, segnando un punto a favore del fondamentale principio della conservazione dei beni artistici nel proprio contesto di produzione.

Le evidenti concrezioni calcaree della statuetta ne attestano il ritrovamento nei fondali marini, con ogni probabilità nell’area flegrea campana,  nella zona di Bacoli (Na), dove nel 2012 è stato rinvenuto un frammento marmoreo combaciante con il bracciolo destro del trono trafugato in California.

Alla luce di questa fondamentale scoperta e grazie a tutte le procedure giuridiche intraprese e portate avanti con cognizione di causa, oggi è possibile ammirare questo prezioso manufatto nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.