Sin dall’età tardoantica, nell’area orientale dell’Impero Romano s’impone una tendenza artistica sontuosa e raffinata. Essa è indicata come linguaggio bizantino e prende nome dall’antica colonia greca di Bisanzio, l’odierna Istanbul turca. 

La potente città collocata sulle rive del Bosforo conosce una rapida ascesa, favorita dalla sua vantaggiosa posizione geografica di ideale ponte tra Oriente e Occidente. Nel 330 d.C. è ribattezzata Costantinopoli in onore di Costantino, il primo imperatore cristiano, che la consacra capitale dell’Impero Romano d’Oriente.

La Nuova Roma  viene dotata di possenti mura, di una grande piazza e di imponenti palazzi pubblici destinati a fornirne un’immagine solenne e monumentale.

L’arte bizantina prende avvio qui, nell’età teodosiana, quando la parte orientale dell’Impero vive un momento di consolidamento e di splendore.

Questo nuovo linguaggio si considera erede della tradizione ellenistica e romana, specie in quanto a fasti e decori. Tuttavia, le modalità espressive risultano ben diverse e resteranno immutate per secoli, secondo una logica conservatrice dovuta all’intensa connotazione sacra delle opere. Il carattere religioso si riflette innanzitutto nelle scelte iconografiche, ma anche nella tendenza all’ordine geometrico, rivelatrice dell’austera rigorosità del cerimoniale ortodosso; i preziosismi ornamentali indicano, poi, l’ideale di un aulico splendore ultraterreno.

La scelta di cromie accese e l’uso di un fondo monocromo e luminoso, spesso aureo, s’inseriscono appieno  nell’esigenza di raffigurare il soprannaturale. Anche la resa bidimensionale degli spazi, la rigidità delle forme e la ieratica ripetitività delle immagini concorrono a esprimere un senso di solenne sacralità.

La celebrazione del sacro prevale sui criteri di resa naturalistica dello spazio e viene dunque meno la tridimensionalità delle costruzioni prospettiche, nonché la verosimiglianza della figura umana; anche i contorni anatomici, infatti, risentono di una simbolica vocazione geometrica, per cui risultano marcati e severi, privi di quella delicata morbidezza del modellato di matrice classica.

I personaggi, quasi sempre divini o comunque divinizzati, sono proiettati in una visione monumentale, in posizione frontale, al centro della composizione e con grandezza maggiore, secondo la logica della gerarchia dimensionale. L’austera fissità del loro sguardo sottolinea l’appartenenza a una realtà altra, più astratta e ben distante dalla concretezza del quotidiano.

Anche quando, all’incirca tra il 730 e l’843, l’Oriente è attraversato dalla crisi iconoclasta(*) e si impone ovunque il divieto di raffigurare immagini divine, l’arte preserva questi caratteri ieratici e sontuosi.

Tra i primi esempi di realizzazioni bizantine ricordo il Ritratto di Arcadio, opera scultorea riferibile al periodo teodosiano.

Risale, invece, a una più avanzata datazione, tra il IX e il X secolo, il mosaico della Madonna con Bambino in trono tra gli imperatori Costantino e Giustiniano nella Basilica di Santa Sofia(*) a Istanbul.

Gli esempi non si limitano ai territori dell’Impero Orientale: i raffinati modi bizantini hanno un’ampia risonanza in tutto l’Occidente, dove confluiscono in altre significative esperienze culturali segnando in modo incisivo il variegato panorama artistico medievale.

Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIÙ…

(*) IL PERIODO ICONOCLASTA

Negli anni venti dell’VIII secolo, sulla scia della crescente influenza dei culti islamici, nell’Impero orientale si diffonde un movimento contrario alle  immagini sacre, fino ad allora utilizzate per  i cerimoniali pubblici o per le venerazioni private.

Si inaugura così il periodo “iconoclasta”, dal greco eikòn, immagine, e klào, rompere.

Tale orientamento intende distendere i rapporti con la civiltà musulmana e, al tempo stesso, mira ad arginare il potere dei più rinomati monasteri, le cui icone sono adorate con particolare fanatismo.

Tavole dipinte e mosaici religiosi diventano oggetti da distruggere, mentre si promuovono opere decorate con motivi geometrici e temi naturalistici.

Quando nell’anno 843 l’imperatrice Teodora pone fine all’iconoclastia, gli artisti riprendono le raffigurazioni di soggetti sacri. Le icone acquistano un’importanza fondamentale nella chiesa orientale, ormai avviata a una tendenza di autonomia nei confronti dell’Occidente cristiano, come rivelerà il Grande Scisma d’Oriente del 1054.

(**) LA BASILICA DI SANTA SOFIA A COSTANTINOPOLI  (immagine di copertina)

Tra gli imperatori bizantini Giustiniano (527-565) è protagonista di un’estesa azione di riconquista di parte dei territori occidentali invasi dai barbari. Inoltre, il suo nome è legato alla formulazione del Corpus iuris civilis, la celebre raccolta di leggi del diritto romano, posto a base dell’odierno diritto civile.

Il periodo giustinianeo è coronato anche da importanti imprese artistiche, che danno lustro alle principali città dell’Impero. In particolare, si procede alla ricostruzione della monumentale Basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.

L’edificio originario, sorto nella seconda metà del IV secolo, nel 404 era stato devastato da un incendio e, una volta riedificato sulle preesistenti rovine, nel 532 aveva subito una seconda distruzione.

Giustiniano, nel promuovere il rifacimento di questa maestosa struttura dedicata alla “Divina Sapienza”, intende aumentare il proprio prestigio politico  celebrando l’investitura sacra del potere imperiale.

Il progetto, affidato all’architetto Isidoro di Mileto e al matematico e ingegnere Antemio di Tralles, si fonda sulla combinazione dello schema a pianta centrale con quella longitudinale: si ottiene così un grande spazio quadrato ricoperto da una cupola e fiancheggiato da navate laterali, dove ogni elemento architettonico ha una sua precisa connotazione geometrica, in cui vibranti effetti luministici alleggeriscono l’insieme delle strutture. La luce proveniente dalle numerose aperture (oggi in parte chiuse) si riversava sui mosaici dorati delle volte creando una suggestiva aura ambrata, quasi irreale.

Nel 588, in seguito a un terremoto e all’insufficienza dei supporti laterali, la cupola crolla. Al suo posto possiamo ammirare quella ricostruita qualche anno dopo, di sette metri più alta. La nuova copertura rivela grande ingegno statico ed è tra le prime innalzate a pennacchi(*). 

Nel 1453 la Basilica di Santa Sofia, in seguito alla conquista della città da parte dei Turchi, diventa moschea. Dal 1935 viene trasformata in museo, per poi essere di nuovo consacrata al culto islamico nel 2020.

IMPARIAMO I TERMINI

Pennacchio: elemento di raccordo geometrico fra l’imposta circolare di una cupola e il quadrato o il poligono di base in cui essa è inscritta.

VISITIAMO!

Tra l’VIII ed il IX secolo la Penisola Sorrentina gravitava nell’orbita del dominio bizantino, come attestano anche i floridi commerci instaurati con l’Oriente dalle marine mercantili nostrane. Si spiega così la presenza nel territorio di opere artistiche sensibili agli stilemi bizantini, spesso provenienti direttamente da Bisanzio oppure realizzate da maestranze locali inclini a questo orientamento.

In particolare, segnalo la statua lignea della Madonna del Lauro, oggi custodita nell’omonima Basilica di Meta, edificata proprio in seguito al rinvenimento del simulacro, scoperto all’incirca nell’VIII secolo, un periodo a cui si suole far risalire anche la sua realizzazione.

L’opera era nascosta tra gli arbusti di “lauro”, nel luogo dove sorgeva un antico tempio metese dedicato a Minerva. Non è inverosimile pensare ad un ritrovamento dovuto alla crisi iconoclasta(*) diffusasi proprio in quel tempo e che, come si è detto, aveva tra le principali conseguenze la distruzione delle immagini sacre.

Con ogni probabilità, dunque, la statua in legno raffigurante la Vergine era scampata alla furia della lotta iconoclasta e secondo la tradizione  sarebbe stata scolpita in Oriente per poi essere tratta in salvo su un’imbarcazione e giungere così a Meta.

Per avallare le tesi di un inquadramento stilistico bizantino va menzionato il ritrovamento congiunto di una chioccia con dodici pulcini d’oro, scoperti accanto alla statua. Infatti, era usanza tipicamente orientale raffigurare animali, spesso realizzati in metallo prezioso, per ornare i  lavori artistici.

La  memoria orale, inoltre, tramanda che gli esperti naviganti metesi avevano già venerato in Oriente la statua poi rinvenuta a Meta e che sostennero di riconoscerla.

Tuttavia, non si può escludere l’ipotesi che l’opera sia stata invece realizzata da un artista locale particolarmente attento al linguaggio bizantino, così diffuso in terra sorrentina; un pensiero, questo, che sembrerebbe confermato dal richiamo, nella statua, anche a modi artistici  vicini alla più genuina e schietta tradizione locale.

Oggi l’austera effigie della Madonna del Lauro domina la navata destra della Basilica, dall’alto del suo sontuoso altare in marmi policromi. Le rigide fattezze della veste, scanalata come fosse il fusto di una colonna, si stemperano in suggestivi effetti chiaroscurali che vibrano anche nei severi e ieratici tratti del volto, addolciti dal singolare taglio obliquo degli occhi.

La fermezza espressiva, come la solenne fissità corporea sono ammorbidite dalla gestualità delle mani, innaturalmente grandi, come vuole la consuetudine artistica medievale, più interessata alla verve comunicativa, che non alla verosimiglianza. Le mani  di Maria giganteggiano rispetto alla sua più esile figura in quanto assolvono alla funzione di reggere da un lato il Bambino, dall’altro una melagrana, simbolo di castità e di purezza.