Per il saggio nulla è invisibile(F. Brunelleschi)

Filippo Brunelleschi (1377-1446), architetto e matematico, è considerato il pioniere del linguaggio rinascimentale italiano. Tuttavia, nonostante il suo ruolo fondamentale nel panorama artistico del tempo, non si sa molto in merito alla sua prima formazione. 

Gli esordi sono legati all’arte dell’oreficeria e della scultura, praticate nella natia Firenze. Qui, ventitreenne, partecipa al concorso bandito nel 1401 per la realizzazione della Seconda Porta del Battistero di San Giovanni.

Nella città toscana, infatti, il XV secolo si apre con questa singolare iniziativa dell’Arte dei Mercanti, una delle associazioni di mestiere più ricca e potente a quel tempo. I commercianti fiorentini, desiderosi di promuovere il decoro e la monumentalizzazione della loro città, bandiscono il concorso per la realizzazione di una nuova porta destinata al lato settentrionale del Battistero, che in seguito sarà spostata in quello orientale.

Una prima porta, la Porta Sud, era stata realizzata nel Trecento da Andrea Pisano ed è proprio per uniformare la nuova opera alla preesistente, che l’Arte dei Mercanti dispone dei requisiti ben precisi: ogni concorrente è tenuto a presentare entro un anno una formella in bronzo dorato con cornice mistilinea e quadrilobata, impiegando la minor quantità di materiale possibile. La scena biblica da raffigurare è quella del Sacrificio d’Isacco: Abramo, messo alla prova da Dio, sta per sacrificargli il suo unico figlio, ma viene fermato dall’apparizione divina di un angelo.

Le uniche formelle pervenuteci sono quelle di Lorenzo Ghiberti(*) e del Brunelleschi.

La prima si distingue per l’alta qualità esecutiva impostata su un notevole risparmio di materiale. Pur presentando ancora caratteri trecenteschi nelle scelte compositive, Ghiberti esprime anche elementi innovativi vicini al gusto tardo gotico, come l’attenzione ai dettagli naturalistici e ai valori chiaroscurali.

    A sinistra, la formella del Ghiberti; a destra,                      la formella del Brunelleschi.

La narrazione biblica della formella brunelleschiana risulta più drammatica, specie nell’intervento risoluto dell’angelo, intento a bloccare con un gesto deciso l’uccisione di Isacco. I ritmi concitati del racconto si manifestano anche nelle forme prorompenti dei servi di Abramo, che sporgono dai limiti della cornice, donando alla scena un effetto di gran dinamismo comunicativo.

Tuttavia, l’esecuzione della porta è affidata al Ghiberti, a dimostrazione di quanto il gusto fiorentino sia ancora orientato verso uno stile più composto ed equilibrato, poco incline all’innovazione. Così, le proposte più ardite del giovane Brunelleschi, oramai insofferente ai modi della tradizione gotica, troveranno modo di esprimersi pienamente negli anni a venire.

Dopo la partecipazione al concorso, l’artista mostra un crescente interesse verso l’architettura e perfeziona la conoscenza degli edifici toscani di età romanica e gotica, dedicandosi al contempo a studi di matematica, geometria e ottica. Inoltre, si reca più volte a Roma, dove può ammirare le monumentali vestigia dell’antichità classica.

Quest’accurata preparazione gli consente di applicare una rigorosa metodologia operativa nelle rappresentazioni artistiche. Da qui l’appellativo di “padre della prospettiva”, poiché egli è il primo a utilizzare tale tecnica attraverso regole geometriche e ottiche ben precise.

Le sue sperimentazioni costituiscono un punto di partenza per i successivi studi rinascimentali, che inquadrano il tema della prospettiva come una rilevante questione intellettuale.

Forte di queste nozioni, nel 1418 l’artista rientra a Firenze per partecipare a un altro concorso, stavolta finalizzato all’innalzamento della cupola della cattedrale di Santa Maria in Fiore.

La costruzione dell’edificio, iniziata nel 1296, si era protratta per tutto il Trecento raggiungendo dimensioni imponenti. Nel 1413, per impostare la cupola era stato realizzato un tamburo ottagonale con più di 40 metri di diametro creando non poche difficoltà al proseguo dei lavori. Infatti, il tradizionale sistema costruttivo delle armature fisse a centine lignee impiegato nei cantieri medievali oramai non poteva più essere utilizzato, sia per l’impossibilità di sostenimento di un peso così considerevole, sia perché dopo la crisi del Trecento l’arresto delle grandi costruzioni pubbliche aveva provocato la dispersione delle maestranze specializzate in queste tipologie costruttive. Pertanto, nel 1418, in un momento favorevole per l’ascesa economica della città, i responsabili del cantiere bandiscono un concorso per la progettazione della cupola.

Brunelleschi vi partecipa presentando un progetto audace, di coraggiosa innovazione, che prevede l’innalzamento di una cupola autoportante, ossia capace di sostenersi da sé durante ogni fase della costruzione, senza il supporto delle impalcature lignee.

Dapprima esitante, la commissione valutatrice proclama vincitore l’artista, che nel 1420 può dare inizio ai lavori.

All’apertura del cantiere, Brunelleschi risulta affiancato da Lorenzo Ghiberti, già suo rivale nella precedente esperienza del concorso del 1401. L’inserimento di un altro architetto nella direzione dei lavori, per giunta dalla differente tempre artistica rispetto al vincitore del bando, sembrerebbe rivelare la cautela dell’ambiente culturale fiorentino, restio ad aprirsi completamente all’innovativo spirito brunelleschiano.

Alcune fonti ci riferiscono che Ser Filippo, infastidito dall’inopportuna ingerenza del collega, per garantirsi una piena autonomia esecutiva del lavoro, si assenta di proposito per più giorni, cosicché il Ghiberti non avendo la piena conoscenza del progetto, è costretto a ritirarsi.

In questo racconto, reale o leggendario che sia, si può leggere una nuova concezione del ruolo di architetto: non più il semplice esecutore, ma l’intellettuale geloso delle proprie idee e orgoglioso del suo progetto al punto da chiedere di esserne l’unico garante esecutivo. All’aspetto più pratico del mestiere, si sostituisce ora quello teorico di chi coordina e dirige il lavoro delle maestranze.

La cupola di Santa Maria del Fiore viene così costruita senza centine lignee, mediante impalcature mobili innalzate gradualmente. Alla necessità di auto sostenimento risponde in particolare la doppia calotta(*) che suddivide l’enorme peso della struttura: nell’intercapedine, ovvero lo spazio compreso tra le due cupole, ancora oggi percorribile tramite una scala a chiocciola, uno scheletro in muratura sorregge e collega fra loro le due volte, autonome l’una dall’altra, ma saldamente congiunte da questa intelaiatura che ne attraversa lo spessore.

Un altro espediente adoperato per bilanciare le spinte è fornito dalla disposizione dei mattoni a spina di pesce, forti di un intrinseco equilibrio statico che dona solidità alle masse murarie della struttura, senza gravarne il peso.

Infine, esternamente, le tribune addossate al tamburo e la lanterna, oltre ad assolvere a una funzione ornamentale, obbediscono a un compito strutturale.

La lanterna, posta a coronamento della cupola, si erge come un tempietto adagiato sulla sommità di un colle e conclude lo scatto dei robusti costoloni mantenendo stretta la chiusura delle calotte. Le tribune, invece, fanno da contrafforti all’intera costruzione, contenendo le forze che si scaricano verso il basso.

Brunelleschi dirige i lavori con grande intraprendenza organizzativa: coordina ben otto cantieri, uno per ognuna delle vele in cui è distinta la cupola, e la costruzione procede a ritmi serrati.

Nonostante la difficoltà di dover operare su una struttura preesistente, l’artista inventa una forma che dialoga con il volto trecentesco della città rinnovandolo profondamente e rapportando lo spazio architettonico, chiuso e definito, agli spazi aperti dell’esterno.

Ancora oggi l’ampia e maestosa cupola brunelleschiana emerge con fierezza dal fitto tessuto del centro storico fiorentino. Simbolo di una città in continua ascesa, si eleva all’infinito del cielo come un monumentale colle.

La scelta di rivestirla in laterizi non è casuale, ma esprime la volontà di armonizzare questa colossale struttura al suo panorama urbano di riferimento, in accordo con le colorazioni rossastre dei tetti dei caseggiati fiorentini. Bianchi costoloni marmorei ravvivano, poi, la monocromia dei mattoni definendo otto grandi spicchi, che sembrano tendersi come vele gonfiate dall’aria.

L’impegno gravoso richiesto da questo impegnativo progetto occupa quasi l’intero arco della carriera di Brunelleschi che, tuttavia, riesce a dedicarsi anche ad altri lavori per Firenze, quali il portico per l’Ospedale degli Innocenti, la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo(*), la Cappella de’ Pazzi e le due basiliche di San Lorenzo e di Santo Spirito.

In ognuna di queste opere, l’artista si lascia ispirare fortemente dal linguaggio classico, cosicché impiega forme geometriche semplici ed essenziali e, illuminato dai valori di perfezione e sobrietà dell’antico, tende alla conquista di un’armoniosa unitarietà, avvalorata dal rigore razionale di una visione scientifica.

Si osservi, ad esempio, il portico dell’Ospedale degli Innocenti, concepito come elemento di raccordo tra l’edificio e lo spazio della piazza ad esso antistante.

Sopraelevato come se si ergesse sullo stilobate di un tempio, si staglia su nove gradini. Nove risultano anche le arcate a tutto sesto che raccordano le colonne e nove sono le finestre sovrastanti, sormontate da timpani.

La ricerca di equilibrio e armonia prosegue nell’elaborazione modulare delle campate, concepite in una forma cubica definita dalle misure coincidenti dell’intercolumnio, dell’altezza delle colonne e della loro distanza dal perimetro murario dell’edificio.

Questa concezione degli spazi riflette il rigore della metodologia brunelleschiana, cardine di tutto il successivo percorso dell’architettura rinascimentale.

Mariaelena Castellano

 

Nell’immagine di copertina: particolare della statua raffigurante Filippo Brunelleschi mentre volge gli occhi al cielo per contemplare la sua cupola. La monumentale scultura, collocata nel pronao del Palazzo dei Canonici, proprio dinanzi al duomo fiorentino, è opera ottocentesca dell’artista Luigi Pampaloni. Sulla lapide sottostante, è riportato, in latino, il seguente pensiero: “Tu vedi, o forestiero, Filippo figlio di Brunellesco. Egli superò in ingegno gli altri artisti, giovò molto alle belle arti, restituì onore all’architettura classica e, superatala nell’innalzare la meravigliosa cupola della Cattedrale, sconfisse l’invidia e procurò gloria grande e eterna a sé e alla città.”

PER SAPERNE DI PIÙ …

Lorenzo Ghiberti (1378-1455)

La scena fiorentina del primo Quattrocento è segnata anche dalla personalità artistica di Lorenzo Ghiberti, principalmente orafo e scultore, nonché architetto, pittore e scrittore d’arte.

La sua attività è legata alla natia Firenze, dove sin dagli esordi, per realizzare la Seconda Porta del Battistero di San Giovanni (1403-1424), fonda una bottega specializzata nella modellazione e nella fusione del bronzo. La formazione del Ghiberti risente dell’eleganza lineare del linguaggio gotico trecentesco, come degli stilemi tardogotici, rielaborati poi alla luce di un costante riferimento all’arte classica. Alla  bottega del Ghiberti, che in breve tempo diventa un punto di riferimento artistico e culturale per la città, giungono diverse commissioni importanti: disegni per vetrate, raffinate opere di oreficeria, statue di santi per la Chiesa di Orsanmichele e rilievi destinati a ornare prestigiosi monumenti. Ma il nome dell’artista è legato in particolar modo alla realizzazione di un’ulteriore porta del Battistero di San Giovanni: la Porta Settentrionale, detta “del Paradiso”(1425-1452).

L’opera è scandita in dieci scene tratte dall’Antico Testamento, stavolta prive delle goticheggianti cornici compassate, presenti invece nella Seconda Porta. Rispetto a quest’ultima, se i modi gotici sopravvivono nel forbito gusto per i dettagli e nella ricca narrazione, qui emergono altresì una più definita rappresentazione prospettica e una maggiore saldezza plastica del modellato. Inoltre, si noti lo spiccato carattere pittorico, accentuato dalle fulgide luminescenze della ricca doratura e dalle sapienti gradazioni delle sporgenze.

Qualche anno prima del completamento della Porta del Paradiso, Ghiberti si dedica anche alla stesura dei Commentari, un’interessante raccolta di scritti in cui esprime i propri giudizi sull’arte classica (Libro I), sui più grandi artisti da Giotto fino al suo tempo (Libro II), e sulle tecniche artistiche medievali (Libro III, rimasto incompiuto). Si tratta di una fondamentale fonte di informazioni che fa del Ghiberti il primo storico dell’arte dell’età moderna.

LA SAGRESTIA VECCHIA DI SAN LORENZO (1422-28 ca.) - FIRENZE

Negli anni venti del XV secolo, Filippo Brunelleschi si dedica alla realizzazione della Sagrestia Vecchia della Basilica di San Lorenzo, così denominata per distinguerla da quella attigua che sarà innalzata un secolo dopo da Michelangelo.

In questo progetto, il Brunelleschi concepisce uno spazio caratterizzato da un lineare rigore geometrico fondato sulla composizione modulare del quadrato.

La Sagrestia Vecchia, inserita nell’area sinistra del transetto della basilica, si configura come un vano cubico sormontato da una cupola a ombrello divisa in dodici spicchi, alla base dei quali si trovano altrettanti oculi, in modo da consentire l’illuminazione dell’ambiente. Dalla parete di fondo si apre una scarsella(*) formata dalla sovrapposizione di due cubi uguali e ricoperta da una cupoletta emisferica dipinta come fosse un cielo stellato.

La sobria scansione geometrica degli spazi della sagrestia brunelleschiana si palesa anche nel ricercato contrasto cromatico tra il candore delle pareti a intonaco nudo e la colorazione grigiastra delle membrature in pietra serena.

Del resto, come in ogni opera del Brunelleschi, anche in questo caso ogni dettaglio decorativo è finalizzato alla resa di un ricercato equilibrio armonico tra le parti.

IMPARIAMO I TERMINI

Calotta: corpo, struttura di forma emisferica.

Scarsella: termine derivante dal fiorentino antico e utilizzato in architettura per indicare un’abside di piccole dimensioni, a pianta quadrata o rettangolare.