L’affermazione del linguaggio elaborato a Firenze nei primi decenni del Quattrocento da Brunelleschi, Donatello e Masaccio non avviene in modo omogeneo.

Il passaggio dallo stile gotico all’arte del Rinascimento non è rapido, come attesta la presenza a Firenze nel 1423 di Gentile da Fabriano, noto esponente  del filone gotico cortese.

Le opere dei tre grandi iniziatori del Rinascimento costituiscono eventi inizialmente alquanto isolati, senza corrispettivi nelle altre regioni italiane; nella stessa Firenze si mettono a punto compromessi che mitigano le nuove istanze, ma in pittura emergono anche  originali  interpretazioni degli spunti offerti dalla grandiosa arte masaccesca.

Tra questi, quella di Paolo Uccello (1397-1475) fantasioso visionario, propenso a servirsi della prospettiva con estrema libertà, utilizzandola come un campo aperto di inquiete sperimentazioni, come un mezzo per esprimere la sua stravagante visione della realtà.

Ne derivano opere caratterizzate da un’atmosfera fiabesca, a volte allucinata, come si evince nelle tre tavole raffiguranti le fasi della Battaglia di San Romano, combattuta tra fiorentini e senesi nel 1432. Se è vero che permane un forte debito con il gusto gotico, è altresì vero che l’originale riflessione dell’artista sulla costruzione prospettica dello spazio regala alle scene rappresentate una singolare aura di sospensione temporale.

Anche nella pittura di Beato Angelico (1395 ca.-1455), lodevole per felicità cromatica e vitalità creativa, lo spazio viene razionalizzato dalla prospettiva, stavolta più improntata al rigore scientifico brunelleschiano; inoltre, i suoi personaggi risentono della solidità di Masaccio, se pur compromessa da un’atmosfera diafana, modellata da una luce di natura divina, trascendente e unificante, di sapore fiammingo.

È quanto emerge, per esempio, nella tavola dell’Annunciazione di Madrid. L’iconografia dell’annunciazione è particolarmente cara all’artista e questa tavola ne offre una prima elaborazione. La Vergine e l’Angelo sono inseriti in un loggiato di sapore rinascimentale, mentre sullo sfondo si scorge la scena della cacciata dei progenitori dal Paradiso Terrestre; il richiamo all’Eden perduto allude al peccato originale espiato dalla venuta del Cristo, di cui l’annunciazione rappresenta il prologo.

In questa, come in altre opere, l’Angelico, frate domenicano del Convento di Fiesole, interpreta in chiave mistica le nuove teorie rinascimentali volgendosi, tuttavia, anche ai modi gotici, come rivelano l’attenzione ai dettagli e la leggerezza formale dei personaggi.

Questo duplice orientamento si può spiegare tenendo conto della volontà del Beato di assecondare di volta in volta le varie circostanze operative e le differenti richieste della committenza.

La divulgazione dello stile masaccesco prosegue anche con i modi sobri e pacati di  Filippo Lippi (1406-69), anch’egli frate. Prende i voti in giovane età, nel Convento di Santa Maria del Carmine, dove ha modo di ammirare le fasi esecutive del ciclo di affreschi della Cappella Brancacci, fondamentali per la sua formazione pittorica.

Anche i modi della coeva pittura fiamminga ispirano l’opera garbata di Filippo,  segnata dall’eleganza di un disegno fluido e da un utilizzo della luce in funzione costruttiva, come si può rilevare nella Madonna con Bambino e angeli, nota come Lippina.

S’inserisce in questo filone pittorico anche il linguaggio di Domenico Veneziano (1406 ca.-1461),  caratterizzata da una gamma coloristica tenue e primaverile e da una sapiente regia compositiva che inquadra la luce perlacea come sostanza stessa dell’immagine.

Proveniente dall’ambiente veneto, tipicamente tardo gotico, Domenico riesce a coniugare gli stimoli raffinati della sua terra con le nuove istanze fiorentine e fiamminghe dando così vita a una tra le esperienze più originali e feconde del primo rinascimento.

Nella Pala di Santa Lucia de’ Magnoli i personaggi, disposti in uno spazio prospettico ben definito, sono dotati di un’austera dignità e la scena è sapientemente unificata da una luce che esalta forme e colori.

Asciutto, severo e privo di concessioni alla grazia, appare infine il linguaggio di Andrea del Castagno (1420-57 ca.), animato da un realismo crudo e drammatico che si avvale di intensi effetti chiaroscurali e di un disegno teso e incisivo.

Nell’Ultima Cena realizzata per il refettorio del Convento di Santa Apollonia, il Cristo e i discepoli, definiti da un modellato netto, si stagliano in uno spazio stabilito da studiati stacchi cromatici, che inquadrano la successione dei piani come fossero tarsie. I personaggi sono ben caratterizzati, ognuno ha una propria individualità e i loro atteggiamenti raccontano una storia antica che si rinnova nel tempo attraverso la pittura.

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Verso la metà del Quattrocento, nelle varie realtà regionali italiane si attua una più consistente diffusione dei principi rinascimentali fiorentini.

Tale divulgazione è resa possibile sia dalla crescente pubblicazione di trattati che argomentano i nuovi modi artistici, sia dai frequenti spostamenti di pittori, scultori e architetti attirati dal mecenatismo delle varie corti.

Il soggiorno padovano di Donatello, per esempio, risulta fondamentale per la diffusione del nuovo linguaggio nelle regioni settentrionali, dove prenderanno avvio le carriere di Andrea Mantegna e Giovanni Bellini.

L’Italia centrale è  toccata in particolare dagli spostamenti di Leon Battista Alberti e di Piero della Francesca, entrambi trattatisti oltre che artisti.

Antonello da Messina, invece, rinnova profondamente il linguaggio dell’Italia meridionale, per poi operare una significativa sintesi attraverso un viaggio formativo, che dal sud del paese lo porterà a Venezia.

In questo fecondo clima di scambi e irradiazioni culturali si compie una prima importante affermazione del linguaggio elaborato da Brunelleschi, Donatello e Masaccio, i tre grandi pionieri del Rinascimento.

Lo sfondo storico di questa fase divulgativa coincide con il desiderio di un periodo di stabilità espresso in Italia dalla Pace di Lodi del 1454, che assicura un periodo di circa quarant’anni di equilibrio tra le varie realtà territoriali, impegnate mediante un sistema di alleanze a rispettare i confini definiti. Garante di questa politica di equilibrio è Lorenzo de Medici, detto il Magnifico, signore di Firenze dal 1469, colto letterato e raffinato mecenate, nonché illustre promotore della supremazia artistica fiorentina.

La potente città medicea continua a essere caratterizzata da una fervida e innovativa produzione artistica, ben rappresentata dalle due botteghe del Verrocchio e del Pollaiolo, dove convergono le più rinomate personalità artistiche, quali Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino e i grandi Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, con i quali l’arte rinascimentale entrerà nella fase della sua piena maturità.

Mariaelena Castellano