Nell’età arcaica i Greci riprendono le sperimentazioni e le tipologie architettoniche messe a punto già nel  Periodo di Formazione per poi stabilirne una codificazione destinata a durare nel tempo.

Se tra il XII e l’VIII secolo a.C. si impiegavano  materiali poveri, quali  legno e mattoni, nonché spazi limitati nelle dimensioni, a partire dal VII secolo a.C. si definiscono  nuove esigenze costruttive.

Innanzitutto,  si privilegia l’uso della pietra, in particolare del calcare duro e del marmo.

I blocchi vengono tagliati nelle cave, dove ricevono anche una prima sbozzatura. Una volta trasportati sul sito, si procede alla loro squadratura, operazione fondamentale in quanto le pietre saranno legate tra loro soltanto dal proprio peso, per cui dovranno risultare combacianti alla perfezione.

Gli edifici pubblici assumono proporzioni  ampie, con spazi più articolati e caratterizzati dall’uso di colonnati porticati e di frontoni(*). Ciò conferisce loro un aspetto più monumentale e decoroso, specie per le strutture adibite a funzioni rappresentative, di destinazione religiosa, politica, civile o commemorativa, che in genere si sviluppano intorno all’agorà, la piazza principale della pòlis.

Più distanti dallo spazio centrale urbano, sorgono il ginnasio e la palestra.

Il ginnasio, inizialmente, corrisponde a un luogo dove i giovani si esercitano nudi nei giochi atletici. In età arcaica è concepito come un parco  circondato da un peribolo, ossia da un recinto sacro. All’interno di quest’area trovano posto viali destinati alla corsa e una rudimentale palestra distinta in un piazzale sabbioso per pugili e lottatori e in un primitivo impianto balneare.

I Greci attribuiscono una grande importanza alla pratica dell’esercizio fisico e sostengono l’educazione al corpo per preparare gli uomini alla guerra, ma anche per renderli in grado di superare le prove e le difficoltà della vita con un giusto atteggiamento.

Ne deriva che ginnasi e palestre diventano luoghi fondamentali, che col tempo  si evolvono in modo più definito, con l’aggiunta di nuovi spazi e di peristili (cortili circondati da porticati).

Il ginnasio si configura poi come punto di ritrovo destinato anche a un’educazione culturale e spirituale, inquadrata in stretta connessione con quella sportiva.

Ma parlare di architettura greca, significa in primis parlare di edilizia religiosa, quindi di santuari e soprattutto di templi.

E´ infatti nella tipologia templare che si esplica al meglio lo spirito e la gran levatura dell’arte edificatoria ellenica.

Se nel Periodo di Formazione il luogo di culto corrisponde a un semplice altare recintato, in età arcaica si passa all’edificazione di una struttura vera e propria, il tempio, concepito come dimora terrena degli dei.

I Greci immaginano le loro divinità con caratteristiche fisiche e sentimenti umani, pertanto si relazionano a esse in modo diretto, quasi confidenziale. Questo atteggiamento si riflette anche nella concezione dell’edificio di culto, costruito con  forme semplici e con tetto a spiovente, proprio come se fosse un’abitazione umana.

La disposizione degli spazi interni varia a seconda dell’estensione e della conformazione del suolo da destinare all’edificazione, per cui si determinano differenti tipologie planimetriche (*) nelle quali si riconoscono, in particolare, due elementi fondamentali: la cella, naos, e il prònao, da pro (davanti) e da naos, cella, quindi lo spazio dinanzi alla cella.

La cella è il cuore del tempio e consiste in un ambiente rettangolare in cui viene custodita la statua della divinità. L’accesso a tale spazio è posto su uno dei due lati brevi, in genere orientato a Est.

Il pronao è uno spazio porticato che funge da ingresso al tempio, una sorta di filtro tra l’esterno e la sacralità dell’interno.

Il tempio greco poggia su un massiccio basamento a gradoni detto crepidoma, la cui parte superiore, lo stilobate, costituisce il piano orizzontale  a cui si accede tramite una rampa e sul quale, in genere, trovano posto una o più file perimetrali di colonne.

Sui capitelli, gli elementi conclusivi a coronamento dei fusti verticali delle colonne, poggia la trabeazione, struttura orizzontale  distinta in tre fasce, che partendo dal basso verso l’alto sono: architrave, fregio e cornice.

Sulla trabeazione si colloca il tetto a spiovente, le cui due parti triangolari, i frontoni, risultano in genere decorate con affreschi o sculture. Il frontone è costituito dalle cornici perimetrali che ne delimitano l’area triangolare interna, detta timpano.

I Greci stabiliscono, poi, le forme, le dimensioni e i rapporti proporzionali tra i singoli elementi impiegati.

Per rispondere alle fondamentali esigenze di simmetria e di proporzione tra le parti, impostano un’unità di misura di base, il modulo, dai cui multipli e sottomultipli dipendono tutte le altre dimensioni adoperate.

Tale scelta subisce, però, delle opportune modifiche, atte a risolvere gli errori dovuti alla distorsione ottica della percezione visiva umana da una certa distanza. Queste variazioni apportate alle misure modulari prendono appunto il nome di correzioni ottiche e rendono possibile un’armonica visione d’insieme, confermando l’accurata attenzione prodigata nella fase progettuale.

Per esempio, poiché l’occhio umano tende a leggere le linee rette della trabeazione e dello stilobate come fossero curvate verso l’alto o verso l’interno, gli architetti greci le flettono leggermente verso il basso o verso l’esterno, in modo da renderne corretta la visione.

O ancora, le colonne angolari ricevono un’inclinazione verso l’interno di 10 centimetri, anziché di 7 come per le altre colonne. Ciò per evitare l’effetto dispersivo derivante appunto dalla posizione angolare.

Non tutti  gli studiosi concordano nel ritenere che le anomalie architettoniche presenti nelle misurazioni dei templi siano dovute all’applicazione dei principi di correzione ottica.

Alcune correnti di pensiero, infatti, sostengono si tratti semplicemente dell’intento di conferire maggiore vitalità alla struttura.

Tuttavia, l’ipotesi delle correzioni ottiche resta la più accreditata, in quanto conferma la volontà di fornire una visione armonica e proporzionata.

Per perfezionare ulteriormente la messa in opera dell’edificio religioso, vengono poi definiti gli ordini(**), ovvero stili architettonici codificati.

Nel VII secolo a.C. si elabora l’ordine dorico, che si diffonde principalmente nel Peloponneso e nella Magna Grecia e che prende nome dalla stirpe dei Dori.

Nel secolo successivo s’impone anche l’ordine ionico, diffuso in prevalenza ad Atene, nelle isole egee e lungo le coste dell’Asia Minore, in relazione all’etnia ionica.

Sul finire del V secolo a.C., il canone ionico si evolverà nel più sfarzoso ordine corinzio, che prende nome dalla città di Corinto, nel Peloponneso, dove viene introdotto nel V secolo a.C. per raggiungere la sua massima diffusione soltanto nella più tarda età ellenistica.

Mentre i templi dorici risultano caratterizzati da un’austera monumentalità, fondata su forme semplici e massicce, quelli ionici, così come i corinzi, appaiono più slanciati e decorati, contraddistinti da un aspetto raffinato ed elegante.

Resti del Tempio di Apollo a Corinto

Tra i principali esempi di templi dorici di età arcaica, vanno ricordati quello di Apollo a Corinto (metà del VI secolo a.C.), di Athena Aphaia a Egina (500-490 a.C.) e l’Artemision(*) di Corfù (fine VI secolo a.C.).

La più antica testimonianza templare ionica, invece, corrisponde ai resti dell’Heraion (*) dell’isola di Samo (prima metà del VI secolo a.C.), caratterizzato dalla presenza di un portico con più di cento colonne sottili e scanalate, dal suggestivo effetto chiaroscurale.

Inoltre, ricordo l’Artemision di Efeso (570-560 a.C. circa), della cui originaria struttura oggi non restano che pochi frammenti, in quanto l’edificio, distrutto nel 356 a.C., viene ricostruito dopo circa due decenni.

Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIU'

(*) LE TIPOLOGIE PLANIMETRICHE DEL TEMPIO GRECO

In base alla scelta della disposizione degli elementi costruttivi,  i templi greci si distinguono per le differenti tipologie planimetriche adottate.

La più semplice è quella del tempio in antis, letteralmente “tra le ante”, caratterizzata dal prolungamento delle pareti  maggiori della cella, che vengono così a costituire le ante che delimitano il pronao, dove sono collocate due colonne.

Se il pronao è replicato anche nella parte posteriore, prende il nome di opistòdomo e il tempio viene definito “doppiamente in antis”.

Si parla di tempio pròstilo, quando il pronao è preceduto da una fila di quattro o più colonne, mentre risulta anfiprostilo quando il pronao e la fila di colonne compaiono anche sul retro.

Per i templi più prestigiosi la perìstasi, ossia il colonnato, circonda l’intero perimetro della cella e l’edificio prende il nome di perìptero.

Quando le due file di colonne laterali sono addossate alla cella, il tempio prende il nome di pseudoperiptero.

In casi più limitati, la perìstasi è doppia e il tempio si definisce dìptero; è pseudodiptero se due delle quattro file di colonne laterali sono addossate alle pareti della cella.

Ancora più rari i templi a pianta circolare, detti a thòlos. In questo caso la cella presenta copertura conica e tutto il perimetro è circondato da colonne.

I TRE ORDINI ARCHITETTONICI

L’ordine dorico, il più antico e maggiormente diffuso, presenta una tipologia di colonna dal fusto massiccio e senza base,  poggiante direttamente sullo stilòbate

Il  fusto è scanalato a spigolo vivo e a circa un terzo dell’altezza presenta una correzione ottica: un rigonfiamento detto èntasi, atto a eliminare l’illusione che a una determinata distanza fa apparire la parte centrale della colonna più stretta rispetto alle estremità. 

Il coronamento del fusto, il capitello, nell’ordine dorico è molto semplice: risulta formato dall’echìno, una base  convessa e svasata verso l’alto, e dall’abaco, una sorta di parallelepipedo a forma quadrata.

Nella trabeazione dorica, il fregio presenta un’alternanza di mètope (lastre lisce o scolpite con rilievi) e triglìfi (lastre scanalate verticalmente).

L’ordine ionico, diffuso in zone con un maggior influsso orientaleggiante, ha invece una colonna più alta e slanciata, con scanalature a spigolo smussato e fornita di base propria, distinta in più fasce. 

Il capitello ionico presenta un echìno decorato da motivi a òvoli, sul quale, prima dell’abaco, s’inseriscono due eleganti volùte, ornamenti spiraliformi di probabile derivazione egizia.

Nella trabeazione, l’architrave è distinta in tre fasce, mentre il fregio è decorato con un bassorilievo continuo.

L’ordine corinzio si può interpretare come una variante dell’ordine ionico, dal quale si differenzia per una maggiore altezza delle colonne e per la forma del capitello. Quest’ultimo rappresenta l’elemento più caratteristico del tempio corinzio: è scolpito con incisive foglie d’acànto disposte elegantemente alla base e poi diradate nella parte alta per svelare le soprastanti volùte.

IMPARIAMO I TERMINI

Porticato: Fornito di portico, ossia struttura architettonica formata da una serie di colonne o pilastri che sorreggono una copertura, talora ad archi, appoggiata sul lato opposto a un muro continuo o a un’altra serie di colonne. 

Frontone: Coronamento architettonico a forma di triangolo, talvolta spezzato, oppure ad arco ribassato.  

Artemision: Santuario dedicato al culto della divinità greca Artemide.

Heraion: Santuario dedicato al culto della divinità greca Era.