La festività di Tutti i Santi ha radici molte antiche. Per Tutti i Santi, si andava anche molto tempo fa ad ascoltare la Messa.

La vigilia c’era l’usanza di mangiare sette cose, tra cui frutta secca, melagrana, castagne, minestrone, era esclusa la carne. Il giorno di festa si mangiavano gli spaghetti, il pollo ripieno e is pabassinas e il primo vinello. Il giorno di tutti i Santi e dei morti si lasciava la tavola apparecchiata per offrire da mangiare eventualmente al poverello che avrebbe bussato alla porta.

Per la commemorazione dei defunti il giorno prima si andava in chiesa a far la veglia.

La gente non andava a pulire le tombe, perché i morti si seppellivano per terra. Il cimitero veniva aperto solo in questo giorno dell’anno, si portavano ai defunti solo crisantemi e margherite, gli unici fiori coltivati.

A casa invece si accendevano i lumini (is lantias) per ricordare i propri cari. I lumini erano costruiti in casa, si accendeva un filo di cotone o di lino infilato nel foro di un pezzetto di canna che veniva adagiato sull’olio contenuto in una piccola scodella.

I bambini si riunivano a gruppi e andavano di casa in casa a suonare i campanelli per dire:

” Morti, morti”

Così le persone davano loro dolcetti, noci, frutta secca e qualche volta monete.

Dalla sera di tutti i Santi alla mattina della commemorazione le campane suonavano a morto, giorno e notte. A chi suonava le campane si portava per pranzo un bel piatto di pastasciutta con la carne di maiale o di gallina o le castagne arrosto.

Veniva celebrata una messa nell’ossario. I sacerdoti celebravano ciascuno tre messe.

Di pomeriggio partendo ciascuno dalla propria Parrocchia si faceva la processione e si concludeva all’interno del cimitero tra le tombe.

Per questi giorni si preparavano dei dolci speciali come i cruxionis de sangueddu, fatto con il sangue del maiale che in quel periodo veniva macellato, misto a uvetta sultanina, pinoli, sale, zucchero, cannella ed altri aromi.

Si facevano anche altri dolci come is pabassinas con l’uvetta e le noci; su pani de saba molto sostanzioso. La saba si faceva lasciando bollire il mosto di vino per molte ore con mele, finocchietto selvatico ed altri aromi. Il risultato era un caramello molto scuro che serviva da base per questo dolce.

Molto buono era anche su gattò fatto con mandorle tostate e zucchero caramellato.

In questi giorni gli uomini travasavano e “stappavano” il vino buono e i bambini tutti intorno osservavano l’evento.

Antonino D’Esposito