Le prime scalinate della rampa dell’antica discesa pedonale, sono alquanto docili nel pendio, per cui non è stato difficile mantenere il passo svelto preso da Rudolf.  Sulla destra, dal lato del costone, ci ha da subito fatto compagnia un po’ di vegetazione spontanea. Se non fosse stato per le continue “incursione” di  fazzolettini sporchi ed altre munnezze disseminate, la passeggiata avrebbe anche potuto acquisire un certo non so che di esotico.

Terminata la prima tesa, però, laddove l’antica discesa curva sulla destra per inaugurare una nuova rampa, sono iniziate un po’ di asperità. In quel tratto infatti la natura, fottendosene dei soldi stanziati dalla Comunità europea, ha iniziato famelicamente ad inghiottirsi il sentiero. Chi vuole passare deve farsi spazio tra il verde. L’aspetto positivo è che da quel tratto in poi sparisce quasi del tutto l’influenza antropica.

Non si trova più munnezza a terra.

Solo verde. Da questo punto di vista è stato bello. Fatta eccezione per le spine dei rovi che con pervicacia  sono riuscite a bucare persino la tela del jeans. Solo a me perché Rambo Circa Settanta Rudolf come sempre non ha fatto una piega. Evidentemente la sua logora tuta dell’Adidas era rinforzata con fibre di cemento amianto.

Ha continuato imperterrito a marciare.

Non si è fermato nemmeno quando a sbarrarci la strada è stato un arbusto selvatico che, facendosi spazio tra i mattoni di tufo, ha prepotentemente invaso quasi tutto il sentiero.

D’altronde non mi ha sorpreso l’entusiasmo del mio compagno di viaggio, avendo già capito quale fosse il suo scopo. Arrivare alla fine della salita per farmi notare che il cancello che consente l’accesso alla soprastante via Ripa di Cassano è chiuso.

“Bella scoperta ‘a Rudolf” – ho pensato – E’ una vita che è così”.

Invece ancora una volta mi sono sbagliato, perché noi quel cancello nemmeno siamo riusciti a vederlo. La natura, quella ostica, prepotente e selvaggia, ci ha sparato il game over prima.

Ad un certo punto infatti senza un poderoso machete non è possibile proseguire.

Per la verità, per un attimo ho temuto che Rambo Circa Settanta Rudolf, avesse potuto estrarlo dal suo zainetto alla Mary Poppins, ma per fortuna è stato solo un timore. Mi ha imposto esclusivamente di scattare l’ennesima foto.

Quindi mi ha chiesto:

“E’ lociko”.

In effetti tanto logico non lo è.

Però, riflettendoci bene, il cartello che abbiamo trovato all’inizio del nostro viaggio indica che lì ha comincia l’antica discesa, mica un sentiero? Per poter fare una discesa è chiaro che devi fare prima una salita. E’ proprio quello che abbiamo fatto. Siamo saliti e poi siamo stati costretti a scendere, perché non era possibile proseguire. Da questo punto di vista è logico.

L’antica discesa non è altro che il ritorno indietro dopo che trovi la strada sbarrata.

Io però questa stronzata me la son tenuta per me, non l’ho palesata a Rudolf. Ho solo eseguito il suo ordine.

Ho fotografato.

Qualche altro scatto di tanto in tanto l’ho fatto al vallone dall’alto e qui devo dire che Rudolf ha apprezzato la vista, ma si è finito di incazzare…

“E’ pazzesco è così pello”.

In effetti è bello e suggestivo per davvero. Anche il tappeto verde che si è mangiato il sentiero finisce con il risultare terribilmente affascinante. Mentre scattavo le foto ho notato che Rudolf aveva già ripreso il cammino. In quel momento ha fatto irruzione nella mia mente l’incubo di dover poi risalire, sempre a piedi, sino a via Bagnulo.

Non sapevo che l’escursione non era ancora terminata. Rudolf si era riservato qualche altro colpo in canna.

Il primo era questo. Lo scheletro di una vecchia imbarcazione lasciato a dimora chissà da quanto tempo, ma che è ormai quasi completamente sopraffatto dalla immane potenza della natura. In questo sia io che Rudolf abbiamo concordato. Non l’avremmo rimosso per nessun motivo al mondo. E’ talmente suggestivo da apparire addirittura artistico.

Uno splendido ritratto di pittura fotografica.

Ciò che invece avremmo rimosso anche subito è tutto il resto della munnezza che si è sedimentata nel tempo.

A partire da queste reti arrugginite che solo per guardarle sei costretto a fare il richiamino dell’antitetanica.

Allora ho scattato la foto senza nemmeno attendere l’ordine, dopo di che l’ho guardato e gli ho detto:

“Hai ragione”.

Così: a prescindere. Senza nemmeno dargli il tempo di argomentare.

Lui si è girato ed è ripartito.

Ad un tratto si è fermato nuovamente.

E’ tornato indietro di qualche metro.

Poi, indicandomi il troppo pieno della condotta consortile, mi ha chiesto:

“Sai cosa è qvesto?”

L’ho guardato spaesato. Certo che lo sapevo, ma mica glielo potevo dire.

Così ci ho scherzato su: “E’ un buco. Un buco col cemento intorno. Tipo una grossa Golia bianca in cemento. Ovviamente non commestibile”.

Questa volta la stronzata l’ho detta, ma Rudolf l’ha capita a metà e mi ha prontamente replicato:

“In qvello che tu chiami puco ci passa la cacca. Quanto quel crosso tubo si riempie la cacca esce da quel puco”.

Quasi avevo dimenticato che lui era un fottutissimo “incegnere itraulico”.

“Ma non credo – ho obbiettato senza troppa convinzione – sarà stato chiuso”.

Poi ho aggiunto masticandolo tra i denti: “O forse”.

Sarà stato colpa di quel “o forse” non masticato bene, ma Rudolf mi ha guardato rassegnato e si è lasciato sfuggire un beffardo:

“Ah, Italiani…”

Senza però aggiungere il classico Mafia/pizza/mandolino. Mi ha così simpaticamente (per lui) rifilato una pacca sulla spalla talmente forte da farmi temere un’immediata lussazione acromion claveare.

E’ stato quello il momento in cui ho pensato che quel “circa settanta” potesse addirittura tendere al sessanta.

Insomma un uomo senza tempo.

Abbiamo percorso qualche altra decina di metri e siamo “…quindi usciti a riveder le stelle”, come scrisse il Sommo Poeta nell’ultimo canto dell’Inferno.

Appena il tempo di metterci alle spalle il cartello che celebra l’antica discesa e Rudolf si è fermato.

Lo sguardo perso sul Vesuvio che gioca a nascondino con la rupe di Scutolo e poi ha estratto una potente Canon dall’inseparabile zainetto di Mary Poppins.

Questa volta la foto la fatta lui.

Ha immortalato quello splendido ritaglio della Marina di Cassano.

Di quel tappeto sgargiante e spazzolato.

(SECONDA ED ULTIMA PUNTATA)

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Johnny Pollio