Con la fine della dinastia carolingia il potere imperiale viene tenuto in vita dalle grandi famiglie baronali, che tra il IX e il X secolo lottano tra loro per accaparrarsi la corona ed estendere i propri domini. Tra i pretendenti rivali, il titolo di re passa a  Ottone I di Sassonia(*), desideroso di raccogliere l’eredità politica e culturale di Carlo Magno e dei suoi discendenti.

Nonostante i territori sassoni siano meno estesi e più incentrati sulla Germania, i modelli ideologici auspicati da Ottone I ricalcano quelli carolingi di universalità e sacralità dell’impero, con un costante riferimento all’antica civiltà romana.

Anche l’arte si pone in continuità rispetto alle scelte carolinge, come rivela l’ispirazione all’aulica monumentalità classica e alla spiritualità paleocristiana. Inoltre, il linguaggio ottoniano presenta significative aperture ai preziosismi bizantini, accordati allo spiccato gusto ornamentale ottoniano, tipico delle popolazioni di origini barbariche.  

Ne deriva uno stile raffinato, con risultati di altissima qualità. Quella ottoniana è un’arte aristocratica, in cui hanno grande sviluppo le produzioni suntuarie, ovvero di lusso, quali avori, miniature e oreficerie, realizzate con gran cura. Nelle oreficerie, in particolare, l’impiego di oro e pietre preziose riflette la spiritualità medievale, propensa a considerare la lucentezza un tramite per elevare l’anima a Dio.

La Corona del Sacro Romano Impero, realizzata nel 962 (la croce e la staffa risalgono, invece, all’XI secolo), è senz’altro tra le opere che meglio esemplificano questo sfarzoso orientamento culturale.

Il manufatto, prodotto nel Laboratorio del Convento di Reichenau, in occasione della consacrazione imperiale a Roma di Ottone I, assume un alto valore rappresentativo della sovranità sassone, in riferimento alla missione di esercitare il potere temporale in armonia con quello spirituale.

Il pregiato diadema presenta otto placche d’oro arcuate, come otto sono i lati del Battistero, con un richiamo al significato di questo numero, simboleggiante il concetto di Resurrezione.

Le placche, interamente rivestite da smalti, gemme e perle, raffigurano il Cristo e i regnanti dell’Antico Testamento. L’iconografia dei sovrani biblici conferma la volontà di considerare la regalità imperiale come diretta emanazione del potere di Dio sull’Universo.

Tra le realizzazioni in avorio, merita menzione la Placchetta di Otto Imperator (983 ca.), intagliata a Milano da un anonimo artigiano e ivi conservata tutt’oggi, nel Museo del Castello Sforzesco.

L’affollata scena è dominata dal Cristo assiso in trono, circondato dalla Vergine Maria e da San Maurizio, come rivelano le iscrizioni laterali. I due personaggi introducono la famiglia imperiale genuflessa al cospetto divino. Si tratta con ogni probabilità di Ottone II, della consorte Teòfano e del figlioletto Ottone III, rappresentati con dimensioni minori per sancire il primato della gerarchia divina rispetto a quella terrena.

In alto, l’iconografia funeraria degli angeli dalle mani velate fa pensare a un riferimento alla morte di Ottone II, avvenuta nell’anno 983. Dunque, la placchetta sarebbe stata commissionata dalla vedova Teòfano, per introdurre al Redentore il nuovo imperatore, il piccolo Ottone III.

Il modellato appare elegante e ben definito. Nelle forme allungate e in dettagli quali corone, capigliature e barbe, si riconosce una derivazione sassone, mentre il profondo inchino della famiglia reale si riferisce al cerimoniale orientale; l’articolata resa dei panneggi, invece, rivela l’ispirazione classicheggiante.

Sempre a Milano, uno dei principali centri artistici di epoca ottoniana, segnalo la presenza del Ciborio della Basilica di Sant’Ambrogio, risalente alla fine del X secolo.

La struttura, situata al centro del presbiterio, è retta da quattro colonne in porfido recuperate da un edificio romano e sormontate da capitelli marmorei a volùte angolari. La parte superiore, impostata su quattro archi e cuspidata,  è decorata da vivaci rilievi in stucco policromo, segnati da una composizione solenne e impreziositi dalle ornamentazioni di sapore tardo antico delle cornici e della ghiera degli archi.

Le parti figurate si distinguono per la raffinatezza stilistica e per l’equilibrio compositivo, come mostra la scena di Sant’Ambrogio circondato dai Santi Gervasio e Protasio in atto di presentargli un vescovo e un diacono.

Anche i codici illustrati sono caratterizzati da effetti di grande eleganza. La miniatura mostra una più evidente continuità con la cultura artistica carolingia, non solo per la scelta ottoniana di restaurare i codici di quel periodo, ma anche per il frequente utilizzo di modelli rintracciabili nella produzione della Scuola di Corte di Carlo Magno.

Tra gli esempi più noti, ricordo la miniatura  con Ottone II in trono attorniato dalle province dell’Impero(*), realizzata dal cosiddetto Maestro del “Registrum Gregorii”.

In ambito architettonico, il linguaggio ottoniano  conserva i caratteri salienti di quello carolingio, ma al contempo propone nuove soluzioni, precorrenti la successiva età romanica. Ad esempio, la scelta di utilizzare mura più spesse, così come l’impiego alternato di pilastri e colonne, rispecchiano appieno questi orientamenti preromanici.

Nella Chiesa di San Ciriaco a Gernrode, nella regione tedesca della Sassonia, risalente alla seconda metà del X secolo, fanno la loro comparsa due matronei sormontanti le navate laterali, mentre nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Lomello, in Lombardia, le navate laterali e il coro sono voltati a crociera, sistema di copertura finora riservato soltanto alla cripta; la navata centrale, invece, risulta con tetto a capriate.

Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIU'

(*) LA DINASTIA DEGLI OTTONI E IL SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO

Il capostipite della dinastia sassone è Ottone I, divenuto re di Germania nel 936.

Impostosi sulle spinte autonomistiche degli aristocratici, il sovrano dà ampio potere a collaboratori scelti in ambito ecclesiastico. Come già Carlo Magno, si avvale del sostegno della Chiesa e nel 962, sconfitto il re d’Italia Berengario II, si appropria del titolo imperiale, per poi essere solennemente incoronato da papa Giovanni XII.

Nasce così il Sacro Romano Impero Germanico, a cui ben presto segue  il Privilegium Othonis, atto con il quale il nuovo imperatore dichiara la sua supremazia sulla Chiesa di Roma. Depone, quindi, papa Giovanni XII, reo di aver tramato contro l’autorità imperiale, per poi proporre l’elezione di un nuovo papa, Leone VIII.

Ottone I intende anche ampliare i propri domini  verso i territori dell’Italia Meridionale, ma viene fermato dalle forze bizantine in Puglia.

Rientrato in Germania, muore nel 973.

Gli succede il figlio Ottone II, consorte della principessa bizantina Teofano. Egli deve fronteggiare più rivolte e, al tempo stesso, ritenta l’avanzata verso il Sud dell’Italia, non riuscendo, però, nell’impresa. Muore nel 983 a Roma, forse per malaria. La corona passa così a suo figlio, Ottone III, di appena tre anni, che pertanto acquista il pieno potere soltanto nel 994, dopo la reggenza materna.

Salito al trono, Ottone III persegue la volontà, prima carolingia e poi ottoniana, di restaurare l’antico Impero Romano. Risiede, dunque, a Roma, per poi essere costretto a lasciarla, fuggendo a una rivolta. Muore nel 1002.

DENTRO L'OPERA

(*) OTTONE II IN TRONO ATTORNIATO DALLE PROVINCE DELL’IMPERO – Maestro del “Registrum Gregorii” – miniatura su pergamena (984 ca) – Musée Condé, Chantilly.

Nella miniatura con Ottone II in trono attorniato dalle province dell’Impero  emerge l’intento celebrativo della figura imperiale, ritenuta divina e autorevole. Ottone II appare come un giovane sovrano con lo sguardo non rivolto verso lo spettatore, suggerendo così un’aura di idealizzazione, che lo avvicina ai ritratti ellenistici di Alessandro Magno.

Seduto in una rigorosa posizione frontale, si presenta in tutta la sua statuaria corporatura, volutamente di dimensioni maggiori rispetto agli altri personaggi, per rispettare la gerarchia. Maestoso e ieratico, impugna lo scettro con la mano destra, mentre con la sinistra regge un globo. Intorno a lui, quattro figure femminili simboleggiano le regioni imperiali: Germania, Alemannia, Francia e Italia.

Il riferimento al classicismo si rivela nelle citazioni dell’articolato baldacchino in cui è collocato l’imperatore, dove spiccano le colonne con capitelli corinzi e l’ampio arco a tutto sesto.

Tuttavia, la mancata accuratezza nella resa prospettica esprime la mutata cultura del tempo: si notino l’assenza della quarta colonna e i tentativi maldestri di fornire profondità alla scena.

L’illustrazione, proviene da un manoscritto commissionato intorno al 984 dal vescovo di Treviri.

Il codice, noto come Registrum Gregorii, consiste in una raccolta di lettere di papa Gregorio I (590-604); dalla sua denominazione deriva l’appellativo di Maestro del Registrum Gregorii per indicare così l’anonima personalità artistica artefice della miniatura e conferirle una sorta d’identità.