La piena maturità della scultura greca in età classica si raggiunge attraverso l’opera di due grandi artisti: Policleto di Argo e Fidia.

Con il primo, attivo tra il 465 e il 420 a.C. circa, per la prima volta in un’unica statua si concentra sia il senso di movimento che quello di stasi, trovando così la soluzione a tutte le problematiche già  poste durante l’età arcaica  e lo stile severo.

Policleto si forma ad Argo, presso la scuola del noto bronzista Agèlada.

Tra le sue opere più celebri, oltre al rinomato Doriforo(*), per la cui trattazione rinvio alla scheda di approfondimento, segnalo il Diadùmeno e l’Amazzone ferita.

L’Amazzone ferita (440 a.C circa) si caratterizza per l’innovativa iconografia in cui la giovane guerriera, appoggiata a un sostegno, probabilmente a una lancia, mostra la ferita sul fianco destro, denudato. 

L’opera riprende poi quello studiato gioco di tensioni ed equilibri già sperimentato nel Doriforo, garantendo un perfetto equilibrio delle parti del corpo: la posa è armonica e rivela un gran senso di naturalezza.

   “Amazzone ferita” – Copia romana in marmo
                   (Roma, Musei Capitolini)

Nel Diadùmeno, “l’atleta che si cinge la fronte”, realizzato nel 430 a.C. circa, lo scultore introduce un ritmo più sinuoso e sciolto. L’uomo che si cinge il capo con una benda presenta un andamento più flessuoso del busto, mentre il sollevamento delle braccia provoca un movimentato senso di apertura rispetto allo spazio circostante.

       Il Diadùmeno – Copia in marmo da Delo,
                   (Atene, Museo Nazionale)

Nessuna di queste originali  statue bronzee è purtroppo giunta a noi, ma possiamo averne una valida conoscenza attraverso le numerose copie testimonianti la fama di cui godeva l’artista.

In particolare, il solo Doriforo, presenta più di trenta repliche, di cui segnalo quella conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli(*)

Policleto apre il sipario della fase pienamente classica della statuaria greca. Le sue idee sulle corrette proporzioni del corpo umano sono raccolte in un trattato intitolato il Cànone, dal greco kanòn, norma, regola. L’opera, fondata su un attento studio della natura, punta a una resa idealizzata della realtà.

Secondo il canone policleteo, ogni elemento del corpo umano va messo in proporzione rispetto a tutti gli altri. Per esempio, la testa deve corrispondere a circa 1/8 del corpo; il busto deve essere pari a tre teste, mentre le gambe a quattro (1+3+4=8).

A questi accorgimenti tecnici, fondamentali per la creazione di un accordo armonico tra le parti, l’artista coniuga anche l’essenza stessa dell’idea di classicità suggerendo quel sottile equilibrio tra finzione e realtà, tra estro inventivo e mimesi naturalistica.

Mariaelena Castellano

DENTRO L'OPERA

(*) ALLA RICERCA DELLA PERFEZIONE: IL DORIFORO  

Il Doriforo,  “il portatore di lancia”, rappresenta la messa in opera delle regole esposte da Policleto nel suo trattato; ecco perché la statua viene indicata anche con il nome “Canone”.

Perduto purtroppo l’originale in bronzo, eseguito intorno al 450 a.C., possiamo averne conoscenza attraverso le numerose copie in marmo di età romana.

Con il passaggio dalla realizzazione bronzea a quella marmorea, data la diversità del materiale per peso specifico e per resistenza, si effettua una differente tecnica esecutiva in cui  per motivi statici è spesso necessario aggiungere puntelli e sostegni di vario tipo.

Nel caso del Doriforo, i copisti hanno inserito degli appoggi nella parte destra: tra il polso e il fianco e dietro la gamba destra.

L’opera impersona un atleta oppure un eroe, forse Achille.

Il corpo è modellato secondo un gioco di rilassamenti e tensioni articolato in uno schema definito chiasmo(*), che svincola la statua dai limiti della staticità per rendere una suggestiva sensazione di potenziale movimento.

Tutto è studiato secondo i rimandi e le corrispondenze dell’impostazione chiastica: la gamba sinistra scaricante il peso si relaziona al braccio destro adagiato lungo il fianco, mentre alla gamba destra tesa corrisponde il braccio sinistro reggente la lancia. Anche il busto segue questo andamento: il fianco destro si alza per effetto della tensione della gamba destra; di contro, il fianco sinistro si abbassa. La spalla sinistra, invece, tende a salire e quella destra si abbassa seguendo l’abbandono del braccio lungo il fianco.   Questa simmetria inversa crea un’idea di dinamismo che coinvolge l’intera figura dell’atleta, armonizzata nelle proporzionate e ritmiche corrispondenze tra le parti. La statua, definita da un morbido modellato,  vanta un corpo sinuoso, che sembra muoversi  nello spazio in modo sorprendentemente naturale.

IMPARIAMO I TERMINI

(*) CHIASMO:  da χιασμός , incrocio, termine derivante dalla ventiduesima lettera dell’alfabeto greco χ “chi”, per la sua forma incrociata. Nella scultura classica, formula compositiva codificata da Policleto, grazie alla quale, tramite la disposizione incrociata delle parti in movimento con quelle a riposo, si risolve il problema dell’equilibrio della figura stante.

VISITIAMO!

LA COPIA POMPEIANA DEL DORIFORO

Per ammirare una significativa eco dell’armonica proporzione nelle studiate corrispondenze di Policleto basta recarsi a Napoli. Tra le diverse copie marmoree di età romana del Doriforo, particolarmente fedele risulta, infatti, quella rinvenuta a Pompei, databile agli inizi del I secolo a.C. e oggi custodita nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

La statua fu scoperta nel 1797 tra i reperti della città vesuviana. Il ritrovamento per l’esattezza avvenne nella Palestra Sannitica, struttura realizzata nel II secolo a.C.  per l’allenamento degli atleti. L’identificazione di quest’opera marmorea con il Doriforo di Policleto fu proposta per la prima volta dall’archeologo tedesco Karl Friederichs, che ritenne si trattasse di una copia romana  dell’originale greco bronzeo ben descritto da Plinio il Vecchio nella “Storia Naturale”. Friederichs  sostenne inoltre che l’eroe raffigurato rappresentasse Achille. La statua è collocata nel piano terra del Museo, nella sala XLV.