E’ stata depositata questa mattina la sentenza del TAR Campania relativa al Portamarina.

Il pubblico esercizio sito in via Marina Grande il 23 giugno scorso era stato oggetto di un’ordinanza emessa dal Comune di Sorrento con cui si dichiarava…

“…la “decadenza dalla S.c.i.a. prot. n. 22802/2017 e 22850/2017 “c contestualmente ordina “la cessazione immediata dell’attività commerciale produttiva di cui alle predette S.c.i.a.”.

Nella richiamate segnalazioni di inizio attività la Portamarina di Esposito Anna e C. snc aveva comunicato l’apertura presso lo stesso locale di un esercizio di tipo “B” ex L. 287/1991 e di un annesso laboratorio rivolto alla “produzione, trasformazione e confezionamento di prodotti alimentari: rosticceria da asporto e gastronomia da asporto).

Secondo i Giudici amministrativi la censura mossa dalla ricorrente è solo in parte fondata e solo relativamente al laboratorio per la produzione, di prodotti alimentari rosticceria e gastronomia da asporto, ma non altrettanto relativamente al locale da dedicare ad attività di bar.

In particolare il TAR ha evidenziato che …

“Giova premettere che, mentre nell’impugnata ordinanza n. 193/2017 si evidenzia che la variazione da C/2 (deposito) a C/1 (locale commerciale) – richiesta e evasa in data 8.6.2010, prot. NA0520295 – riveste un rilievo esclusivamente fiscale, atteso che, dal punto di vista urbanistico, il mutamento di destinazione è stato effettuato sine titulo in assenza di opportuna pratica edilizia (all’uopo necessitando uno specifico titolo edilizio), parte ricorrente asserisce che, avendo il locale (indistintamente da adibire a laboratorio e ad attività di bar) avuto destinazione commerciale “magazzino” sin dal 1934 (atto di compravendita del 27.8.1934) confermato dalla successive documentazioni notarili del 1970 e del 1989 che ne indicano la destinazione ad “uso negozio”, il passaggio catastale non ha affatto dato luogo ad un mutamento della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, ma è stato effettuato soltanto al fine di conformare la situazione catastale, alla situazione di fatto e giuridica già giuridicamente esistente.
La prospettazione di parte ricorrente non è condivisibile in quanto la medesima parte, in essenza di uno formale specifico titolo abilitativo, non può ritenere raggiunta la prova della destinazione commerciale del locale destinato con S.c.i.a. Prot. a. 22802/17 all’apertura di nuovo esercizio commerciale, sulla base dell’indizio della effettività della destinazione commerciale protrattasi nel tempo, quasi come si trattasse di una situazione, assimilabile all’usucapione, andata consolidandosi con il mero decorso del tempo”.

Di qui la conferma di un indirizzo ormai sempre più pacifico…

“Dalla lettura congiunta dell’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, in combinato disposto con l’art. 22, co. III del medesimo d.P.R., ne deriva che, quantomeno per le Zone Omogenee A, il cambio di destinazione d’suo è comunque subordinato al rilascio di permesso di costruire, in caso di mutamento di destinazione rilevante alla diversa categoria funzionale commerciale ex art. 23-ter DPR n. 380/2001. E’ quindi richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria (come nel caso di specie) o se il cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea. Del resto è evidente che il carico urbanistico inerente ad una destinazione commerciale è diverso da quello relativo ad un deposito”.

Tuttavia lo stesso TAR bacchetta poi il Comune e rileva che…

“nel periodo appena precedente, il locale era stato oggetto di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, a seguito di S.c.i.a. prot. 2050 del 12.1.2017, ove era indicata la sua destinazione urbanistica quale locale commerciale, (Cat. C/1), risultando ivi allegata la nota di trascrizione dell’atto del 1970 di cui si è detto e sottolineata la descrizione dell’immobile “ad uso negozio”, unitamente alla pregressa certificazione catastale “C/2”. Il titolo edilizio non veniva sospeso, né inibito nei termini e con le modalità di cui all’art. 23 d.P.R. 380/2001, Lo stesso cantiere, peraltro, era stato oggetto di verifiche nel corso dei lavori dell’U.T.C. che con nota prot. 6889 del 7.2.2017 aveva anche disposto la sospensione dei lavori, fatta eccezione per un eventuale intervento di rimozione della canna fumaria ritenuta allo stato privo di titolo, disponendo “che i lavori interni potranno riprendere previa rimozione del predetto manufatto”. Successivamente con nota prot. 7028 dell’8.2.2017, la società ricorrente comunicava, allegando la relativa documentazione fotografica, l’avvenuto smontaggio della canna fumaria e la ripresa dei valori. Le opere edilizie venivano concluse in conformità al titolo edilizio, con certificato di ultimazione prot. 17409 del 7.4.2017, ove era allegata documentazione fotografica post intervento, raffigurante il locale di chiarissima evidenza commerciale”.
Già in sede cautelare con l’ordinanza in epigrafe questa Sezione aveva rilevato che << alla presentazione da parte della società ricorrente della S.c.i.a. edilizia prot. n. 2050 del 12.1.2017, relativamente al laboratorio per la produzione di cibi da asporto, per l’effettuazione di ordinaria e straordinaria manutenzione, ove era indicata la destinazione urbanistica del cespite quale locale commerciale, (Cat. C1) >>, ed inoltre che << non risulta che l’intimato Comune abbia fatto seguire adeguata attività istruttoria, né adottato provvedimenti repressivi intesi a contestare l’abusivo cambio di destinazione >>.
L’accento va posto particolarmente su quanto già rilevato in sede cautelare sulla circostanza che a seguito di S.c.i.a. prot. 2050 del 12.1.2017 – ove era indicata la destinazione urbanistica commerciale del locale (corrispondente alla Cat. C/1), il Comune non aveva fatto seguire “adeguata attività istruttoria”, né adottato provvedimenti repressivi intesi a contestare l’abusivo cambio di destinazione d’uso >>, in tal modo riconoscendo la destinazione commerciale de qua.
Pertanto risultando adeguatamente comprovato che il locale in questione risulta avere una destinazione urbanistica (C/1) non incompatibile con l’attività commerciale, ne deriva la sussistenza del vizio di difetto di istruttoria che ha caratterizzato l’azione della P.A. puntualmente dedotto dalla ricorrente.

Di qui la decisione di accogliere in parte il ricorso e di ritenere ammissibile solo l’attività di laboratorio per prodotti alimentari, rosticceria e gastronomia di asporto, ma non quella di bar e somministrazione.