Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio

dei primi fanti il ventiquattro maggio.

Sono trascorsi esattamente cento anni da quando fu composta questa celebre canzone: La Leggenda del Piave.

A scriverla fu il Maestro napoletano Giovanni Gaeta (meglio noto come E. A. Mario). L’autore, tanto per esser chiari, di Santa Lucia Luntana e della musica della Tammurriata Nera.

Quella canzone, quella leggenda, divenne epica dopo che un altro partenopeo, il generale Armando Diaz (che a dispetto del nome non faceva coppia con Maradona nel Napoli dello scudetto) sconfisse gli austriaci e li costrinse a firmare il Bollettino della Vittoria che poneva fine alla prima grande guerra.

Trento e Trieste erano nostre. 

L’Unità d’Italia s’era compiuta.

Sono trascorsi esattamente cento anni e stamattina, da Otranto a Ventimiglia, da Pantelleria a Predoi, è stato tutto uno sventolìo di tricolori. Un’Italia in festa. Unica eccezione Sant’Agnello che, per esigenze da Ponte di Ognissanti, ha deciso di anticipare i festeggiamenti al 2 novembre.

Dovevate vederli: veterani (veri o presunti), sempeterni lacchè, nostalgici e panzuti fascitelli da salotto, politici di ogni sorta e risma. Tutti in fila dietro trombe, tromboni e tamburi che intonavano:

S’udiva, intanto, dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell’onde,
Era un presagio dolce e lusinghiero.

Il Piave mormorò:
“Non passa lo straniero!”

Poi la tappa al Monumento dei Caduti, la corona di fiori e la classica parlatella retorica. Recitata male, ed in alcuni casi persino letta, da gente che, nella migliore delle ipotesi, crede che Montegrappa non sia altro che un digestivo alternativo al limoncello.

Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteva le onde…
Rosso col sangue del nemico altero,

Il Piave comandò:
“Indietro va, straniero!

E gran finale agitando il piccolo tricolore, forzatamente messo nelle mani di bambini e ragazzetti precettati. 

Tutto per rinverdire i fasti di un Italia che fu, che forse non è mai stata, ma che certamente non è.

Non è perché ridotta ad una ammasso di macerie (fisiche e ideologiche) da quelle stesse generazioni che oggi erano in parata a millantare patriottismo. Gente che al primo botto di scacciacani proveniente dal campo avverso sarebbe pronta a darsela a gambe; se non addirittura ad andarsi ad arruolare dall’altra parte. Con la stessa velocità con cui oggi cambia idee e partiti. Gente che ha fatto dell’Italia lo “scuorno” dell’Europa e non solo. Insomma gente che al fronte – quello vero – non verrebbe utilizzata nemmeno come palla di cannone.

Ebbene costoro, con la loro arroganza, scendono in piazza e sguazzano sui vari social pretendendo di impartire lezioni alle giovani generazioni e soprattutto agli altri.  A quelli che se ne stanno per cazzi loro. A quelli che per loro il 4 novembre è al massimo la festa di San Carlo, se hai il culo di avere un Carlo in famiglia.

Già perché diciamoci la verità: alla fine pure il Piave ha cambiato idea.

Sicure l’Alpi… Libere le sponde…
E tacque il Piave: si placaron le onde…
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,

la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri.

Sì, senza oppressi né stranieri: ma cu ‘nu paese ‘e merda.

Un’Italia praticamente in ginocchio.

Allora oggi se potesse altro che mormorare, il fiume sacro della Patria ci manderebbe proprio affan…

Va be’, non esageriamo.

Tanti auguri a tutti i Carlo, le Carla e derivati e…

…e tante scuse al Piave.

Johnny Pollio