Non c’è alcun intento polemico, perchè di fronte ad una vita spezzata non ci può essere polemica, ma solo rispetto e…riflessione!

Rino si era appena allontanato dal nostro tavolo.

Avrebbe dovuto prendere il secchiello per mantenere fresco il vino che aveva scelto per noi. L’espressione seria, ma sorridente.

La stessa che ci aveva riservato altre volte.

Il volto sudato, ma è estate e fa caldo. Sembrava quindi del tutto normale.

Eppure…

Eppure dopo pochi secondi, un tonfo. Un rumore forte di qualcosa che cade. Spostiamo lo sguardo per capire cosa mai avessero potuto far cadere.

No, nessun pacco, nessun cassetto del vicino mobiletto.

In terra c’è lui: Rino.

Stravolto.

I colleghi accorrono, i turisti, tanti, restano fermi impietriti ai tavoli. Io afferro il cellulare dalla borsa e compongo il numero del 118. Una cameriera mi invita a darglielo, vuole essere lei a parlare ed io così faccio. Dopo aver tranquillizzato i miei bambini, con Johnny, mi avvicino nuovamente a Rino e così fanno altri italiani presenti al ristorante.

Il personale del ristorante cerca di aiutarlo, ognuno fa come può.

Siamo nel cuore di Sorrento, via San Cesareo, sono appena le 22,00 e c’è tanta gente.

La statua di Sant’Antonino è a pochi metri, lo stesso ospedale è a pochi metri.

“Un medico – mi dico – ci sarà un medico in giro!”

Mi allungo sulla strada inizio a gridare che serve l’aiuto urgente di un medico. Arrivo fino alla vicina piazza Tasso e poi torno indietro verso la Cattedrale; in tanti mi guardano perplessa. Alcuni mi fermano, ma io non ho tempo per raccontare, se non son medici, non servono.

Torno al ristorante, chiedo se va meglio, ma le facce sono scure. L’ambulanza non c’è ancora, eppure l’ospedale è lì vicino. Mio marito torna da una farmacia portando un defibrillatore che, dice, quelli della stessa farmacia non sanno usare.

Tra i presenti nessuno si dice capace.

Lui torna in strada chiede a dei vigili, a qualche negoziante nei paraggi, ma la risposta è negativa.

Nessuno sa usarlo.

Torno ancora in strada a cercare un medico, una signora mi grida che ne conosce uno che abita non lontano e si affretta ad andarlo a chiamare.

Intanto però si sente nell’aria l’attesa sirena della ambulanza.

Finalmente! Viene da Vico Equense, ci dicono. Il  personale è lesto, anzi lestissimo. Ci chiedono di stare fermi o seduti, si mettono a lavoro e provano, provano tante volte. Ancora qualche minuto e ne arrivano altri, quelli della unità di rianimazione.

Sembra un film, ma è tutto tragicamente, maledettamente vero. Piegati per terra  i sanitari si prodigano, intorno, noi seduti in silenzio…in preghiera…aspettiamo che la macchina dia un segnale positivo, che uno di loro gridi al miracolo, ma non è così.

Non serve parlare, uno di loro solleva lo sguardo.

Lì nel cuore di Sorrento, Città cardioprotetta e a pochi metri dall’ospedale!

Una fatalità sicuramente, un triste destino a cui niente e nessuno poteva sottrarre il povero Rino.

Nessuno poteva far nulla, ma questo ci deve far riflettere su quanto siano inutili le chiacchiere politiche, i corsi, gli attestati, gli annunci, gli spot sulla donazione di non so quanti defibrillatori o quelli sull’ospedale del “giorno che sarà”, se non hanno risvolti pratici degni di tale nome.

Se nessuno poteva cambiare il destino di  Rino, per altri potrebbe non essere così e allora i giri a vuoto per le strade,  la ricerca di un apparecchio e di qualcuno che sappia usarlo, l’attesa di una ambulanza che arrivi dal punto più vicino, lasceranno un senso di colpa ancor più profondo. 

Anna Iaccarino