ATTENZIONE: COMMENTO LUNGHISSIMO, ASTENERSI PERDITEMPO, TIFOSI E POLITOLOGI…PRATICAMENTE TUTTI

Può sembrare strano eppure l’onda lunga dell’ultima tornata elettorale italiana, le regionali in Emilia Romagna ed in Calabria, rischia di lasciare il segno anche in Penisola sorrentina. Anzi a mio avviso lo ha già fatto. Non mi riferisco, ovviamente, alla guerra sui social tra le opposte tifoserie, bensì ad altro.

Per cercare di spiegare cosa potrebbe accadere è necessaria però una premessa.

Una delle poche certezze emersa dalle elezioni di domenica scorsa è che il voto è diventato più volatile del gas che mettono nei palloncini nelle feste di paese. Appena comprato l’elio c’è ed il palloncino svolazza, il tempo di arrivare a casa il gas sparisce ed il palloncino si affloscia. Questa certezza porta con sé due inevitabili conseguenze: diventa praticamente impossibile fare previsioni a lungo termine, ma arduo anche fare analisi.

Tuttavia voglio provare a sparare la mia. Ad inerpicarmi in questo tortuoso sentiero. Da umile cittadino, ultimamente dedito ad attività bucoliche, non avrò le competenze dei tanti politologi che ormai imperversano sui social, ma parafrasando il compianto Pino Daniele:

Uaglio’ ma che “me” ne fotte, e quanno good good.

Avrete certamente notato che, ancora più che nel passato, le elezioni le hanno vinte e perse praticamente tutti. Ovvio, dipende con cosa si vanno a confrontare i dati emersi dalle urne domenica scorsa. Se il parametro di riferimento sono le precedenti regionali del 2014 si ha un risultato, se sono invece le politiche del 2018 o le europee dell’anno successivo il risultato rischia di diventare diametralmente opposto.

Allora come si fa?

In realtà entrambi i raffronti mi appaiono poco corretti. Si vanno a confrontare elementi troppo disomogenei tra loro.  

Nel 2014 l’Italia era attraversata dal ciclone Renzi. Nel 2018 Renzi era crollato trascinando con sé il Partito Democratico, contestualmente si assisteva all’apoteosi a 5 Stelle. Nel 2019 altro giro altra corsa: i pentastellati erano già in caduta libera mentre Salvini avanzava a rullo compressore.

Non considerare queste importanti variabili significa giungere a conclusioni totalmente fuorvianti.

Allora ecco che un aiutino ce lo può fornire un altro dato. Nel caso dell’Emilia Romagna, il raffronto lo si potrebbe fare con le ultime regionali in Umbria, regione che si avvicina, non solo geograficamente, all’Emilia Romagna. Applicando lo stesso criterio nel caso della Calabria si potrebbero valutare i dati delle recenti regionali in Basilicata.

Tralasciando a questo punto i numeri, che si danno per acquisiti, si possono iniziare a tirare le prime somme.

  • Il Movimento 5 Stelle è ormai in piena e rapida “decrescita infelice”, come l’ha ribattezzata qualcuno. Non lo dico ora, lo dissi all’indomani della trionfale cavalcata del 2018. Fu l’ultimo canto del Cigno. Il più bello, per coloro che furono gli uomini del Vaffaday. Dalla prematura scomparsa del loro guru Gianroberto Casaleggio in poi, invece, non ne hanno azzeccata una neanche per sbaglio. Perciò dire oggi che sono al capolinea significa anche volerli trattare. Il treno non solo è arrivato a fine corsa, ma è stato pure rottamato.
  • Il Partito Democratico è nelle condizioni del rivedibile. Ha fermato la sua tendenza al ribasso. Lo spread non ha continuato a sprofondare. Gli eredi di Botteghe Oscure possono oggettivamente tirare un sospiro di sollievo, ma per capire se riusciranno e “rivedere le stelle” (quelle poetiche di Dante, non quelle implose di Grillo) bisognerà attendere almeno il prossimo round.
  • Non essendoci altri fenomeni di rilievo nel campo del centro sinistra diventa inevitabile girarsi dall’altra parte. Partendo da Forza Italia. Grazie alla furbata di trovare un candidato spendibile in Calabria, gli uomini del Cavaliere hanno dimostrato di avere più vite del gatto. Addirittura si è rivisto Maurizio Gasparri che si è lanciato a ballare la tarantella con le neo governatrice Santelli. Sono in corsa e possono dire anche la loro. Anzi, nonostante il tracollo emiliano-romagnolo, credo che ad Arcore e provincia abbiano stappato non una, ma due bottiglie di Dom Perignon. Una per la Calabria ed una per lo splendido “tracollo” nella rossa Emilia e poi vi spiego anche il perché.
  • Fratelli d’Italia equivale a dire Giorgia Meloni, perché è lei che si candida ad essere il nuovo astro fulmineo della politica italiana. C’è da scommettere che nei prossimi mesi il suo facciotto prenderà il posto che ancora per poco sarà di Salvini che lo ha ereditato da Di Maio, che lo aveva preso in prestito da Renzi…che “…al mercato mio padre comprò”.

Finito?

Macché, resta la Lega. Resta il Capitano: Matteo Salvini. Ci vogliamo perdere il piatto forte?

Sono sicuro che per le cose che andrò a dire perderò qualcuno dei nostri sette/otto lettori abituali, ma non è colpa mia se Salvini è stato cacchio di perdere due volte. Ha commesso due grossi errori, ma due errori inevitabili, perché figli di uno ancora più grosso, che risale all’agosto scorso. Quando il Capitano, dopo aver brillantemente infinocchiato un Di Maio modello Tafazzi, trascinandolo in un Governo bara dei 5 Stelle, si è fatto a sua volta infinocchiare dall’altro Matteo, Renzi, facendosi convincere ad abbandonare quello stesso Governo trappola, dietro la promessa di un voto subito. Quelli del PD, invece, che quando vedono le poltrone non ci vedono più, dopo il “tradimento” di Salvini anziché andare alle urne hanno approfittato dello spirito masochista dell’ex bibitaro del San Paolo e hanno fatto il piattino al Lumbard.

Roba da perdere il senno ed infatti Salvini lo ha perso di brutto. Sapeva che se andava al voto non ce n’era per nessuno, né per i sui alleati, né per i suoi avversari. C’era un unico problema. Come accidenti si fa ad andare al voto se c’è una maggioranza salda in Parlamento?

La devi sfonnà!

Per farlo aveva un’unica strada da percorrere, puntare al bersaglio grosso. La rossa Emilia. Vincendo là avrebbe mandato l’intimazione di sfratto esecutivo a Peppino Conte.

Allora per raggiungere questo scopo ha pensato bene di prendere una specie di suo avatar politico di vecchia fede padana e di piazzarla a capo della coalizione di centro destra. Dopo di che si è lanciato in pellegrinaggio su è giù per la via Emilia. Non pago ha rinvigorito i fasti del più ardito celodurismo, arrivando ad indossare lui stesso la camicia verde delle ronde maroniane che furono nell’ormai mitologico e fantozziano:

Scusi le spaccia?

Un’impresa titanica, ma talmente titanica che è riuscita a far muovere le chiappe anche al più sonnolento degli elettori e dove non c’è arrivato lui è intervenuto quell’ologramma politico da lui inconsapevolmente creato che risponde al nome di Sardine.

Il risultato è stato devastante. Il suo “stravinciamo” dei giorni che hanno preceduto il voto si è trasformato in una mesta Lipsia annunciata in tivvù dopo la terza, quarta scheda scrutinata e non si sapeva niente di preciso ancora della Calabria. Una regione che lui aveva lasciato ai suoi partners, pensando che le sue mirabili gesta emiliano-romagnole avrebbero sortito effetti anche alle pendici della Sila.

Invece proprio dal profondo Sud che è giunta la Waterloo del Capitano. La conferma che al di sotto del Volturno i Padani non passano, che da lì in giù dei Garibaldi non si fidano più tanto. Il Salvini con rigurgiti leghisti non ha risvegliato solo i “partigiani” emiliani, ma è stato un deterrente anche per i “briganti” calabresi. Per la serie stiamo attenti che il lupo perde il pelo, ma non la camicia verde.

Allora ecco che da Praia a Mare sino a Reggio Calabria hanno preferito affidarsi all’usato garantito di Forza Italia che tra liste ufficiali e liste satelliti ha preso inaspettatamente il largo tornando a viaggiare sopra al 20%. Addirittura hanno riesumato l’UDC e, ovviamente, dato il giusto tributo alla ascendente Meloni, senza affossare nemmeno il PD.

La Lega è finita con il diventare uno dei tanti pianeti che formano la galassia del Centro-destra.

Capito un poco?

In un solo colpo Matteo Salvini si è ritrovato a passare da sicuro nuovo Premier a candidato premier fortemente in discussione. Il suo rinnovato e mai sopito celodurismo, lo ha reso per la prima volta perdente. Peggio di questo che poteva accadergli? Che lo mandavano a dirigere la banda musicale di Pizzighettone, ammesso che esista? 

Ecco che veniamo finalmente a noi, alla nostra Penisola sorrentina, a quel Peppino Cuomo che da qualche mese sta facendo corsi accelerati di brianzolo antico e moderno nella speranza di poter prender posto nelle liste del Carroccio per le prossime regionali. Cosa starà pensando ora Cuomo?

Il centro-sinistra se conferma di aver quanto meno arginato l’emorragia di consensi e soprattutto trova una quadra con De Magistris ha serie possibilità di riconfermarsi a Palazzo Santa Lucia. Nel centro-destra la Lega rischia di restituire con gli interessi a Forza Italia i voti presi in prestito alle ultime europee. Fratelli d’Italia ha il vento in poppa e quindi potrà andare a tirar su reti strabordanti di voti che provengono sempre dallo stesso mare, se poi dovesse rinascere anche qui l’UDC o qualche altra sigla simile scordata persino dal Padreterno è chiaro che non ci sarà trippa per gatti.

Per questo non ci sarà tanto da meravigliarsi se nelle prossime settimane si iniziasse a sentir parlar meno il brianzolo e si tornasse ad ascoltare il ritornello di un datato ma sempre efficace “Meno male che Silvio c’è” o si iniziasse ad udire il fischiettìo di un rivisitato Inno di Mameli.

Johnny Pollio