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L’arrivo alle grotte

Abbiamo da poco superato Ponte Maggiore, quando sulla nostra sinistra appare la prima grotta strappata dai nostri avi al ventre tufaceo del costone. L’ingresso, come tutto lì intorno, è il solito immondezzaio ricoperto da arbusti. Riusciamo comunque a farci strada. L’antro è enorme ed apprendiamo dalle nostre guide che un tempo veniva utilizzato come deposito per le arance. Poi un crollo improvviso della volta spinse i proprietari ad abbandonarla.

Ora al posto di quelle che un tempo erano enormi distese di pomi arancioni si rinvengono detriti di ogni sorta, alcuni anche datati. Restano imprigionati nell’anfratto dopo le ingenti piogge e poi non vanno più via.

A testimoniare i tempi che furono all’esterno vi è ancora un enorme ammasso di ruggine, che un tempo fungeva da scala.

Alla sommità si può scorgere una costruzione, datata ma non troppo. Evidentemente rappresentava anch’essa un piccolo deposito che veniva utilizzato come luogo di smistamento prima di ricoverare le arance nella grotta.

Ci lasciamo alle spalle la Grotta delle Arance e si incamminiamo verso un secondo anfratto.

E’ qui che ci attende una sorpresa incredibile.

Madonna come piove

Riprendiamo il nostro cammino e continuiamo a farci strada la tra le vegetazione sempre più fitta e sempre più aggrovigliata alla munnezza. Riusciamo così ad arrivare alla seconda grotta. In realtà il motivo di questa spedizione è legato proprio a ciò che sta accadendo lì.

Giunti in fondo, infatti, notiamo che all’interno della cavità ci piove ed anche in maniera copiosa. Non si riescono a fare foto adeguate, perché il luogo è terribilmente oscuro.

L’intera volta di tufo è totalmente intrisa d’acqua che fuoriesce a rigagnoli finendo con l’inzuppare il suolo sottostante e dando vita ad insolite stalagmiti melmose. E’ impressionante la quantità di acqua che viene giù. Nessun fetore nauseabondo, però, quindi deduciamo debba trattarsi di acqua pulita che proviene dal fondo sopra la volta. La circostanza che la stessa volta si sia progressivamente colorata di bianco ci lascia supporre che siamo al cospetto di acqua trattata. Magari una forte perdita proveniente dalle tubazioni dell’acquedotto o qualcosa di simile.

Quel che è certo è che la situazione non appare delle più rassicuranti. Il continuo stillicidio, se non fermato, potrebbe con il tempo portare ad un crollo del masso sovrastante alla volta con tutto ciò che vi è sopra. Secondo i nostri calcoli dovremmo essere al di sotto di un nota struttura ricettiva.

Gigino ci fa sapere che di quella pioggia improvvisa se ne è avveduto nel corso della sua ultima spedizione, avvenuta poche settimane prima. In passato non c’era mai stato nulla di simile. La conferma arriva anche dal nostro Capitan Enzuccio.

Gigino ci comunica che ha anche provveduto a comunicarlo a chi di dovere, ma tutti sino ad ora hanno fatto spallucce. Come ome se quelle lande che giacciono nel ventre della nostra Penisola non interessassero a nessuno, anzi come se fosse proprio terra di nessuno.

Raccogliamo una bottiglietta di acqua destinata a finire in laboratorio per le analisi.

Restiamo tuttavia nella grotta perché le nostre guide hanno da mostrarci un qualcosa di estremamente singolare.

Una curiosa e suggestiva composizione di stalattiti che si è fatta largo all’interno di una cavità del costone.

Davvero spettacolare.

“Scusate sapete che è successo?”

Una volta fuori dalla grotta il mio sguardo viene rapito da quello che rappresenta per me il più insolito dei ritrovamenti. Un mito della mia infanzia divenuto un cult cinematografico:

‘O cavalluccio rosso ‘e Bellavista.

E’ ridotto decisamente maluccio, ma anche in quelle condizioni non può non essere riconosciuto. Per la verità non è proprio identico, però, ci assomiglia molto. Chiedo a Giovanni di immortalarmi insieme al Cavalluccio. Poi mentre gli altri si lanciano nell’esplorazione di una terza grotta, io resto in compagnia del cavalluccio ed inizio a fantasticare un improbabile siparietto.

Scusate ma sapete che è successo? Chiederei al Cavalluccio.

Non è possibile più: è una jungla, avete presente il film Jungla d’asfalto? E’ tale e quale. Le guardie non ci sono, escono solamente per fare le multe. Poi spariscono. Lo Stato è assente. Se non fosse per questo giovanotto di Gigino che ogni tanto prova a darsi da fare…

Mi risponderebbe il cavalluccio, parafrasando Riccardo Pazzaglia.

In effetti è proprio così.

Jungla, ma non di asfalto, di munnezza.

Come dare torto al cavalluccio?

A pochi metri di noi si ergono alcune montagnette artificali contenenti ogni genere di rifiuti.

E’ un’autentica discarica che lievita ogni giorno di più. Sembra quasi voler ambire a ritornare nei luoghi da cui è stata cacciata.

E’ una mastodontica bottega degli orrori.

Cucine abbandonate.

Bombole.

Amianto.

Lavelli.

Tazze di cesso.

Persino un vecchio aggeggio che assomiglia ad una piccola betoniera.

A fare da corredo cumuli di spazzatura, in alcuni casi anche correttamente inseriti nelle buste.

Non c’è nulla che non si possa trovare laggiù. Eppure, volendo seguire il Cavalluccio nel suo ipotetico ragionamento, non sarebbe difficile arginare quella pioggia di munnezza. Basterebbero un paio di spedizioni ed un riscontro incrociato tra immagini satellitari e risultanza catastali. Almeno i cumuli si vede bene dove si stanno cristallizzando.

Basterebbe, insomma, un minimo di zelo da parte dei due Comuni che si affacciano sul Vallone, quello di Meta e quello di Piano di Sorrento.

Hai detto niente, evidentemente non conviene a nessuno.

Sconsolato lascio il Cavalluccio al suo destino e riprendo il cammino. Gigino mi viene incontro e mi dice:

Non è finita, c’è ancora tanto da vedere.

(FINE SECONDA PUNTATA)

Johnny Pollio